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CONTENT AND EMOTIONAL TRIGGER WARNING!

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«𝐓𝐡𝐞𝐲 𝐭𝐨𝐥𝐝 𝐦𝐞 𝐭𝐡𝐚𝐭 𝐭𝐡𝐞 𝐞𝐧𝐝 𝐢𝐬 𝐧𝐞𝐚𝐫.»

Esistono varie forme d'espressione per descrivere il dolore.

Può essere classificato come un danno all'organismo, ad esempio: un taglio, un bruciore, il fantomatico dolore al petto, il mal di pancia, il mal di testa e così via. O può essere classificato a livello cronico e patologico, ciò ne forma l'ansia, la depressione, lo stato di sconforto mentale. Talvolta, tutto l'insieme può portare il soggetto a recepire un pericolo, ancor prima che questo vi si presenti davanti. Talvolta, l'insieme del dolore fisico e patologico, ne scatena una condizione insostenibile. Talvolta, ci si ritrova davanti a un bivio: affrontarlo, e quindi superarlo o lasciarsi annegare in esso.

Nel corso della mia vita, molte volte mi ero ritrovata ad avere a che fare con il dolore, che fosse fisico o neurologico e, a dire il vero, il più delle volte mi ero ritrovata a dover affrontare entrambi. Come la notte dell'incidente, il dolore fisico al corpo, le gambe tremanti, le ginocchia doloranti e l'occhio nero; e al tempo stesso, il dolore a livello mentale per tutte quelle situazioni accavallate fra loro, la morte di Travis davanti ai miei stessi occhi, la consapevolezza del rischio vissuto in compagnia di Ryan Flyn, e poi ancora la certezza che tutto fosse stato organizzato per me.

Ero stata brava a gestire quel dolore, nonostante tutto io ero andata avanti, trovando nel prendermi cura della nonna una possibile via d'uscita. Per anni mi ero privata della possibilità della sofferenza, quella vera, quella che ti squarcia il petto e toglie il fiato, quella che ti lascia in bilico sul burrone ad osservare il vuoto dinanzi al corpo. Per anni avevo ignorato tutto quello, per anni mi ero rinchiusa dentro la mia bolla, credendo che tutto fosse semplicemente finito quella notte... con la sua morte e con il mio cambiamento. Ma non era così.

La verità, era che io non avevo gestito quel dolore, non l'avevo mai analizzato nel profondo né ne avevo avuto alcuna intenzione. Io mi ero limitata a passare oltre ad esso, mi ero limitata a credere che, quelle notti passate fra le lacrime in compagnia di Megan, fossero il risvolto che avrebbe indotto la guarigione. Mi ero in un certo senso indotta ad estraniarmi dal poterlo vivere e dal poterlo rendere reale e innocuo. Mi ero illusa semplicemente di averlo affrontato. E tutto quello che non avevo fatto al tempo, la terapia mancata, il parlarne, l'analizzarne i sintomi per poterne trovare la cura... mi si stava ritorcendo contro.

Il mio fantomatico benessere, non era altro che un'illusione dettata dalla mente e dall'inconscio, nel farmi credere di aver affrontato tutto e di essere cambiata. Non era altro che quello. Una bugia tale che – di certo – non mi avrebbe aiutata, ma al contrario, mi avrebbe dato il colpo di grazia.

Io ero la menzogna di me stessa.

Non avrei dovuto sentire quel dolore, l'adrenalina in circolo non avrebbe dovuto farmi percepire il bruciore delle cosce a contatto con quella stessa pietra che io avevo scelto per rivestire il viale d'entrata. Non avrei dovuto percepire il jeans strapparsi malamente, il rumore del tessuto che cede sotto la potenza dell'essere malamente trascinata sul viale. Non avrei dovuto sentire la carne graffiarsi e lacerarsi, il sangue impregnarmi i tessuti già malconci, e le ferite rimarginate nel corso di quel mese tornare a riaprirsi, come se fosse solo causa di quel vento che stava alimentando la sua foga su di me. Non avrei dovuto percepire alcun dolore, come il fiato mancante e il bruciore incessante alla testa, causato dalla mano intenta a strappare via i miei capelli nel tentativo di trascinarmi con sé.

L'adrenalina non avrebbe semplicemente dovuto farmi percepire alcunché, eppure io stavo sentendo ogni cosa, ogni malessere fisico... e Dio, non era certo quella il tipo di adrenalina che desideravo tornare a risentire scorrermi dentro le arterie.

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