𝟓𝟕

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🪐
«𝐀𝐬 𝐈 𝐨𝐩𝐞𝐧 𝐦𝐲 𝐞𝐲𝐞𝐬.»

«Ti prendo, dai! Vieni giù!» Urlò ridendo.

«È alto», sussurrai.

«Non lo è, è solo prospettiva! Dai, scivola giù, ti afferro! Non avere paura, Lex», disse ancora. «Ci sono io, ci sarò sempre.»

Uno dei ricordi più belli con Travis, risaliva al mio sesto anno di vita. Il cielo era limpido sopra le nostre teste, gli uccellini cinguettavano e rallegravano tutto ciò che ci circondava, il prato era verde e l'erba era appena stata rasata da mio padre. Il quartiere godeva del chiacchiericcio delle famiglie riunite in uno dei tanti pomeriggi estivi, fra quelle voci anche quella di mia madre che accompagnava quella di mia nonna. C'ero io, sulla cima di uno scivolo altissimo – un regalo di papà – e, di sotto, ad attendermi alla fine dello scivolo c'era Travis, leggermente piegato in avanti, con le braccia distese e pronto a prendermi.

Pur stando con gli occhi chiusi, distesa su quel letto e in compagnia di due delle persone più importanti della mia vita, riuscii comunque ad estraniarmi per qualche istante. Riuscii a sentire il cinguettio, – che probabilmente non era solo frutto della mia mente, ma pura e semplice realtà –, il tempore delle giornate estive, l'amore intorno a me. Riuscii persino a scorgere, nell'angolo più remoto della mia memoria, l'esatto momento in cui avevo provato talmente tanta paura, da sentirmi inspiegabilmente indotta a capire l'amore smisurato che Travis provava per me.

Il ricordo di quel giorno non mi avrebbe mai abbandonata, un po' per scherzo, un po' per gioco, un po' perché, alla fine, quel giorno avevo compreso cosa significasse essere realmente legati a qualcuno dal sangue. Le parole di Travis, quel: "Ci sono io, ci sarò sempre", quel giorno mi avevano dato il coraggio e la spinta per scivolare giù. Era lì che avevo compreso l'amore fraterno, era lì che avevo capito – pur essendo ancora una bambina – che, come lui sarebbe sempre stato pronto a prendermi, io sarei sempre stata pronta a fare altrettanto.

Ero solo una bambina, e sapevo già cosa significasse amare visceralmente qualcuno.

In quel momento più che mai, quando le palpebre si schiusero e la luce del sole filtrante dalle tende illuminò ciò che mi si parava davanti, non riuscii a non chiedermi quale fosse stato, un giorno, il primo ricordo di Althea. Il primo ricordo che avrebbe avuto di quelle braccia forti, che in quel momento la stavano proteggendo dolcemente dal male del mondo.

Non avrebbe mai potuto ricordare quel giorno, il modo in cui Harry la stava tenendo a sé, lei dolcemente e, finalmente, addormentata sul suo petto nudo. Non avrebbe potuto ricordare come io la stessi osservando, o come io stessi osservando Harry, nel compiere quelle azioni all'apparenza così innocue, ma al tempo stesso cariche di forza e amore. Althea non si sarebbe ricordata di quegli istanti, ma forse un giorno avrebbe potuto costruire un ricordo tutto suo, e così come io avevo la mia piena consapevolezza dell'aver capito dove e quando mi ero sentita protetta con Travis, forse anche lei sarebbe arrivata a quella certezza.

Magari Harry l'avrebbe portata al parco, avrebbe spinto la sua altalena e lei gli avrebbe detto: "Ho paura, basta, voglio scendere", e allora lui l'avrebbe presa in braccio, si sarebbe seduto sull'altalena insieme a lei, e avrebbe iniziato a dondolarla tenendola stretta così come stava facendo in quel preciso istante. Forse quello, più in là con gli anni, sarebbe stato uno dei suoi ricordi più belli con lui. E chissà quanti altri ne avrebbe custoditi nella sua, ancora piccolissima, memoria.

Ma c'era un pensiero triste anche per tutto quello, perché oltre alla consapevolezza che un giorno avrebbe rivisto davanti a sé, ricordi indelebili con Harry, con Daniel, con sua madre, con me e con ogni persona pronta ad amarla... esisteva un ricordo primario, forse il più importante, che lei non avrebbe mai potuto formulare. E quello altro non era se non la consapevolezza di essere amata, in modo sproporzionale, da un padre.

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