𝐄𝐏𝐈𝐋𝐎𝐆𝐎 • 𝐈𝐋 𝐍𝐎𝐒𝐓𝐑𝐎 𝐃𝐄𝐒𝐓𝐈𝐍𝐎

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«𝐍𝐨𝐰 𝐲𝐨𝐮'𝐫𝐞 𝐢𝐧 𝐦𝐲 𝐥𝐢𝐟𝐞.»

Velocità, adrenalina, fiato corto, paura di perdere. Persone che vanno, altre che arrivano e ti sconvolgono. Inizia così quella che banalmente definiamo la nostra storia. Inizia con la parvenza di un trauma capace di saper annullare ogni tuo pensiero razionale, ed è così che continua, con i traumi e con le situazioni che si accavallano finché tutto non finisce per sopraffarti. Almeno fino al momento in cui non ci si rende conto che, quella storia che si vuole raccontare non è altro che la vita. Vita da prendere, stringere forte e cullare, perché non sarebbe tale se non avesse i suoi traumi, la sua velocità, il fiato corto dentro ai polmoni e lacrime per chi, semplicemente, se ne va.

«Sono troppe poche luci, Space Girl

«Sono troppe luci, Space Boy», corressi le sue affermazioni.

Fermando il movimento lieve della mano e il tratto delicato sopra lo schermo, alzai gli occhi dal tablet appena in tempo per osservarlo sbuffare.

Tante volte la vita ti mette davanti a situazioni del tutto inaspettate, e il modo più semplice per uscirne, è circondarsi da persone giuste. Anche se risulta difficile, anche se la strada è in salita, magari dissestata e piena di curve cieche, se ci si trova di fianco la persona giusta, allora si avrà il giusto finale per la storia migliore che sia mai stata scritta: la nostra.

«Papà!?»

«Zio!»

Le vocine cantilenarono all'unisono dentro il piccolo salotto e il mio cuore prese a sciogliersi, preda dell'amore immenso provato verso quella piccolissima porzione di monotonia.

Lo sguardo saettò alla svelta verso sinistra, dove Althea e Audrey se ne stavano comodamente sedute per terra, le manine adagiate sull'enorme tappeto persiano sotto di loro e le iridi azzurre di entrambe puntate su Harry.

«Credo che prenderò un biglietto per il Messico», sbuffò per la seconda volta Harry, mentre se ne stava di spalle con le braccia protese verso le mensole ricolme di libri. Incastrate tra le dita, due file di lucine colorate che si accendevano e spegnevano a intermittenza davanti al suo viso. «O magari per il Perù. Dove ti piacerebbe andare, Pesca

«Hai detto un biglietto, il che implica sola andata, quindi non penso che ti seguirò», trattenni a stento una risata e continuai a osservarlo posizionare con estrema cura le decorazioni natalizie.

«Be', male per te», sussurrò altezzoso. «Secondo me, invece, staremmo bene in Messico. Tra le tortillas e le enchiladas

La sola immagine di lui con un sombrero sopra la testa e le maracas tra le mani, provocò un ghigno che trattenni all'interno della bocca.

«Okay, tu puoi andare, io non verrò con te. Ma sappi che se uscirai da quella porta con una valigia, non vorrò vederti tornare», lo avvertii.

A quel punto Harry si slanciò velocemente verso l'alto, le lucine volteggiarono sopra la sua testa e un tonfo sordo risuonò dentro al salotto quando quest'ultime vennero malamente lanciate sui libri. Fui quasi certa del fatto che le nonne lo stessero maledicendo dall'alto dei cieli. Il rumore fu così violento, che le due bambine gettarono fuori un piccolo urlo, seguito subito dopo dallo sbuffo pesante della golden. Entrambe mollarono le decorazioni natalizie tra le loro manine e scoppiarono a ridere, un attimo dopo finirono distese per terra con la testa adagiata sulla pancia di River.

«Che delicatezza», sussurrai a mia volta, tornando a osservarlo e trattenendo tra le labbra l'ennesimo sorriso.

Harry fece un passo indietro, la tuta grigia si tese sul suo fondoschiena e il mio corpo ricominciò a fremere silenziosamente. Le terminazioni nervose tra le mie gambe finirono per implorare pietà, ma io non gli diedi ascolto e tutto ciò che feci fu continuare, indisturbata, a osservare colui che era a tutti gli effetti il mio meraviglioso marito. Harry inclinò la testa verso sinistra, il suo ammasso di capelli folti pendette di rimando a quel movimento e il ciuffo quasi finì per carezzargli la spalla. Ammirò con estrema attenzione la sua opera: una scomposizione innaturale di lucine pendenti da ogni angolo.

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