05. I don't know you but i feel i can trust you

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PAIGE

«Paige, dove vai? Non correre!»

«Dai, Jade. Prova a starmi dietro».

Il parchetto, il nostro posto. Siamo di nuovo qui, dove abbiamo passato tantissime giornate, forse le migliori, o forse le peggiori...

«Paige, pensi che dovremmo rientrare? I nostri genitori si staranno sicuramente preoccupando».

«Dai, Jade, smettila di preoccuparti. Aspettiamo la luna e poi andiamo».

«Sono anni che ti conosco e ancora non riesco a capire questa tua fissa con la luna».

D'un tratto Jade inizia a correre fuori dal parco. Provo a chiamarla, ma non risponde.
Urla, tante urla di dolore. Chi sta urlando? 

«Jade, dove sei? »

Non risponde, sento solo queste dannatissime urla. È buio e la luna è scomparsa, non capisco cosa stia succedendo. Mi guardo intorno e il mio sguardo si ferma sulle mie scarpe, sono piene di sangue.

A qualche metro da me, giace il corpo di Jade ricoperto anch'esso di sangue.

«Jade, no!»

Mi svegliai di soprassalto, quella notte l'avevo sognata di nuovo. Ogni volta che appariva nei miei sogni, c'era uno scenario diverso, ma non si vedeva mai l'esatto momento in cui se ne andava. L'unica cosa che rimaneva sempre uguale nei miei incubi, era il suo corpo senza vita e la luna che scompare.

Erano le quattro di mattina, avrei potuto dormire di più, ma il pensiero di Jade me lo impediva. Decisi di scendere per fare colazione e ripassare per il test di matematica.

Mi fermai prima davanti lo specchio, come tutte le mattine. Il viso era segnato dalle occhiaie e pallido, i capelli tutti scombinati. Sembravo uno zombie. Il resto era meglio evitarlo. 

Lasciai perdere quell'immagine, sapendo di farmi solo del male, e scesi giù in cucina. Stranamente la dispensa era piena, finalmente Clary si era decisa a fare la spesa.

Andava sempre a finire così: litigavamo e poi si comportava bene per qualche giorno, solo per far vedere che stava cambiando, ma poi tornava tutto come prima.

Ero all'ultimo anno delle superiori, non potevo più starle dietro. Clary Moore doveva imparare a prendersi cura di sé stessa, io l'avevo fatto già troppe volte. Sarebbe dovuto essere il contrario, ma la mia famiglia non era mai stata normale e sperare in un cambiamento era da illusi.

Decisi di prepararmi i Pancake. Mischiai tutti gli ingredienti e li cossi. Una volta pronti li farcii con un po' di Nutella e finalmente potei mangiare. Quel giorno mi ero svegliata più affamata del solito.

Dopo un po' mia madre scese giù, mentre io stavo ancora trangugiando quei Pancake.

Si voltò verso di me con la sua solita espressione. Quello che avrebbe voluto dire era: "Mangi sempre troppo. Che schifo"

La conoscevo bene e non stavo esagerando.

Quella probabilmente fu una delle poche volte in cui non stavo pensando alle calorie che immettevo nel mio corpo, ma ci pensò lei a ricordarmelo. 

Ero consapevole di essere inadatta, che il mio corpo era rivoltante. Ogni tanto, però, avevo bisogno di conforto e solo il cibo era in grado di darmelo. 

Desideravo solo che le persone si facessero gli affari loro, che non mi guardassero mentre mangiavo. Ero stanca.

Questo era uno dei tanti motivi per cui consumavo i miei pasti sempre da sola. Quei tipi di sguardi non li sopportavo, mi creavano disagio, e, ogni volta non mangiavo ciò che desideravo, ma solo ciò che sembrava più salutare, assicurandomi che fosse meno delle altre persone a tavola.

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