Freddo

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Alla chiusura tirai fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca della giacca di Jeans che, se possibile, sembrava mantenere ancora un po' del suo calore.

Era una sensazione strana, però.
Io continuavo a sentire freddo; il calore era impercettibile quasi come se la mia pelle fosse isolata, come se non riuscisse a raggiungermi e ciò che era peggio è che sarebbe stato così per sempre.

Mi strinsi un po' nella giacca, scegliendo una tra quelle sigarette rimaste. Scegliendo quella che sarebbe bruciata sotto il peso dei miei pensieri, stretta tra i denti e i miei rimorsi.

Amava fingere di avere freddo per togliermelo di dosso ed immergere il naso dentro le maniche.

Diceva che l'aiutava a sentirmi vicino tutte le volte in cui era troppo timida per abbracciarmi. Spesso si arrabbiava quando sentiva l'odore di fumo, oltre alla colonia che "la faceva uscire di testa".

Parole sue,
Ricordi miei.

Ricordo ancora gli occhi da bambina che mi rivolse quando mi portai una mano sul cuore, prima di fare una croce con l'indice di entrambe le mani e sfiorarli appena con le labbra. Lei aveva riso e in cambio  aveva promesso che mi avrebbe lasciato la giacca. Erano promesse, con un'eccezione.

Lei l'aveva mantenuta.
Io, no.

Allontanai quei pensieri ed accesi la sigaretta che si trovava stretta tra i miei denti. L'accendino così vicino al volto era caldo, mi sentii al sicuro ed inspirai lasciando che il fumo  bruciasse nel petto prima di buttarlo fuori. Ad ogni boccata, mi sentivo mancare la terra sotto ai piedi. E quella sigaretta sembrò l'unica pronta a darmi conforto, come la sua assenza.

E nonostante sapessi quanto potesse danneggiarmi, glielo lasciai fare.

Un po' come quando mangi nonostante la dieta, quando stai sotto al condizionatore per troppo tempo o quando butti giù un bicchiere di troppo per smettere di pensare, lasciando che lavi via la bocca di tutte le parole non dette. Incastrate tra la punta della lingua e la membrana del cuore.

Ognuno è padrone di decidere quale tramonto vedere per ultimo e il modo per godersi la fine dello spettacolo della sua vita.

Scusa Gin, ti ho delusa un'altra volta.

Il cellulare mi vibrò nella tasca dei pantaloni. Lo raggiunsi con una mano e un messaggio mi fece tornare con i piedi per terra:

Federico.

Gli avevo promesso che quella sera ci saremmo visti come ogni settimana e non sarei venuto meno alla mia parola. Nonostante non avessi voglia, nonostante volessi solo essere inghiottito dal cuscino dopo aver fatto scivolare nel bicchiere qualche goccia di Lexotan.

Glielo avevo promesso. Non avrei deluso anche lui.

Risposi distrattamente e, per aspettarlo, decisi di passare dal Flower a prendere un caffè nella speranza che fosse in grado di mascherare la verità che si celava sul mio volto.

Il caffè non era male. Amaro, come doveva esser bevuta una buona miscela. Ero solo un illuso figlio di puttana a sperare che la bevanda scura potesse alleviare la stanchezza. Certo, non dormivo bene ma non era quello il punto.

Ero stanco di non avere uno scopo, di alzarmi dal letto senza un reale motivo per essere sveglio. Di essere inghiottito ogni giorno dai miei stessi pensieri che si rincorrevano come serpenti in amore.
Ero consumato dall'idea di non averla più accanto e di non sentirla più ridere o vederla sudare sotto di me con le dita intrecciate ai miei capelli che tiravano facendomi così bene.

Ero stanco ed ero un illuso a pensare che il caffè avrebbe potuto sistemare tutto questo.

«Bene, bene. Guardate un po' chi c'è.»

Quella voce l'avrei riconosciuta tra mille: James Chirico. Il bullo delle scuole medie. Lo stesso con cui ero stato carnefice così tante volte da non riuscire nemmeno a contarle. Il solo pensiero di quella versione di me mi disgustava. È terribile quanto si è disposti a fare pur di non finire dall'altra parte. Credevo fossimo amici all'inizio, lui per me lo era davvero, ma io stavo sempre un gradino sotto di lui accanto agli altri due idioti e, nel momento in cui decisi di fronteggiarlo per quella faccenda di Ed, ferii il suo orgoglio arrogante.

La sua voce tanto profonda quanto irritante mi colpì all'altezza del petto. «Che fai, non ti volti nemmeno idiota?»

No.
«Girati.»

Sentii delle risate. Non dovevo voltarmi per capire che si trattasse dei due idioti che si portava dietro: Stefano e Tommaso. Marionette non pensanti il cui unico scopo era quello di acconsentire ad ogni cosa uscisse dalla sua povera bocca.

«Fottiti, James.»
«Mh, non è molto amichevole.»
Sentii i suoi passi avvicinarsi dietro di me. Si avvicinò quel poco che serviva per sussurrare qualcosa che avrei sentito solo io. Qualcosa che meritavo di sentire solo io e che era tanto terribile quanto reale.

«Vedi... Meglio dosare le parole. Non vorrai che la tua ragazza torni dal mondo dei morti per tirarti i piedi per questo linguaggio indecente.»

Mi voltai. Il suo sguardo era glaciale e sul volto aveva dipinto un ghigno che avevo voglia di togliere a suon di pugni. I capelli biondo sporco continuava a tenerli lunghi e la camicia nera incorniciava tutta la sua pochezza.

Fu una questione di attimi. Non so se fu il sentirlo nominare Gin o il suo ricordarmi che lei non fosse più con me come un fastidioso promemoria, ma scattai dalla sedia rovesciando ciò che rimaneva del mio caffè.

Nel giro di pochi attimi iniziai a colpirlo e i due tirapiedi smisero di ridere. Un pugno. Poi un altro. Un altro ancora.

Ero riuscito ad avere la meglio, ma la vista del sangue sulle nocche tremanti mi distrasse riportandomi a quella notte. Al suo sangue sulla strada e sul lenzuolo che avevano messo sopra la sua testa. Le sirene blu che lampeggiavano si erano allungate deformandosi di fronte a me. Tutto scorreva lentamente scandito da rintocchi di un orologio che segnava la fine del tempo: il suo.

Le voci erano ovattate. Non riuscivo a sentire niente, percepivo soltanto le braccia di qualcuno che tentavano di portarmi via dal suo corpo esanime, dalla sua mano fredda divenuta calda e umida per colpa delle mie lacrime.

Bastò questo.
Solo questo.

James si ritrovò sopra di me, riuscendo a prendere il controllo.

Un pugno.
Ginevra non c'è più, Joe.
Un altro.
La tua ragazza morta.

Reagisci.
Resta con me,Joe.
Resta con me.

Il sapore ferreo tra le labbra. La vista iniziò ad appannarsi ed io mi abbandonai al dolore come un vecchio amico.

Poi riuscii a vedere la luce in fondo a quell'esasperante tunnel.

Another Ghost RomanceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora