Il suo

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Joe POV


Non ero riuscito ancora a prenderla per mano e sapevo che, quando il tempo sarebbe arrivato, me ne sarei pentito. La verità è che mi terrorizzava l'idea di ripensare a lei e ricordare quanto la sua pelle fosse fredda, quando l'unica cosa che mi aiutava ad andare avanti era ricordare il suo calore.

Il modo in cui mi sfiorava i capelli al mattino, le labbra bollenti sopra le mie, le mani sotto la maglietta o il modo in cui collegava i nei del mio viso con le dita, paragonandoli alle stelle della volta celeste.

La verità era che avevo paura di avere un nuovo ricordo di lei, nonostante fosse una delle cose più belle di quell'anno.
Continuammo a camminare e, appurato che la musica anni '80 superasse di gran lunga tutto il resto della scena musicale e che Stranger Things fosse la migliore serie partorita nell'ultimo decennio, non dicemmo molto altro.
Ogni tanto mi voltavo e la trovavo a guardare in alto, sentiva il rumore delle foglie che si sfioravano o il cinguettio degli uccelli e questo la faceva sorridere.

Ad un certo punto immaginai quanto sarebbe stato bello vagare con lei in un mare di nulla, ma poi tornai in me.
Aveva rischiato tutto per me e suo fratello, voleva che trovassimo il nostro posto nel mondo, liberi dal senso di colpa. Non l'avrei delusa in quel modo, non quando aveva sacrificato tutto.

Dopo circa due ore, stanco e assetato, arrivammo in un enorme parco contornato da panchine e da alberi di ogni tipo. Se si era fortunati, si potevano vedere gli scoiattoli, ma non era quello il bello. Se seguivi il sentiero, potevi trovare un lago con le ninfee e vedere le carpe nuotare.

"Sapevo che avresti scelto questo posto." La sentii dire.
"Possiamo andare da qualche altra parte, se preferisci."
"No." Si fermò per portarsi una ciocca di capelli—sempre della stessa lunghezza, dietro l'orecchio. "Avrei scelto esattamente lo stesso posto."

Dire che lo immaginavo era scontato.

Avevamo passato i nostri primi mesi insieme in quel parco. Era un modo per sfuggire al diabolico anno 0. Quando ci siamo conosciuti nessuno sembrava credere che appartenessimo a questa generazione: le mie polo erano in contrasto con le tshirt over-sized mentre i suoi colletti lo erano con i crop top. Ci piaceva fingere di appartenere ad un'altra epoca, di essere speciali. Quindi ci ritrovavamo lì a studiare, a leggere o a sentire musica, una cuffia ciascuno.
Avevamo imparato a condividere le nostre passioni e le nostre paure, ci ascoltavamo e fidavamo l'una dell'altro.

Ricordo ancora come i suoi occhi vispi si mettevano a cercare ogni bel fiore da fotografare e mettere come sfondo del cellulare. Amava i fiori, diceva che erano una delle cose che il mondo aveva creato affinché ne ammirassimo la bellezza. Io, con un sorriso sornione, rispondevo che lei era il mio fiore poi scoppiava a ridere ed io mi ubriacavo con quel suono quasi fosse uno shot di gin.

La mia Gin.

Ci sedemmo su una delle panchine vicino al lago e nessuno dei due ebbe il coraggio di dire niente per un po'. Trovavo triste come niente fosse cambiato: le ninfee erano ancora lì, così come i fiori che tanto le piacevano ma che non avrebbe mai più potuto postare su Instagram. I pesci continuavano a nuotare ed io continuavo a perdermi nei suoi occhi nonostante fossero così diversi da quelli che ricordavo.

Quel giorno non c'era nessuno, forse perchè era Mercoledì. O forse perchè era un luogo per pochi; onestamente non m'importava.

"Lo senti?" Chiese all'improvviso.
"Sento cosa?"
"Il vento." Stava guardando il cielo. "Secondo te il vento ci sarà, dove sto andando?" Avrei voluto dirle che parlare del posto dove stava andando mi distruggeva, che l'idea di perderla di nuovo era dolorosa quanto cadere sulle ginocchia e riaprire vecchie ferite. Ingoiai questo groppo che avevo in gola e mi forzai di parlare.

"Non lo so, Gin." Sospirai. "Io.. Io non lo so." Ero sincero. Sentii il suo sguardo pesarmi addosso, ma non mi voltai a guardarla. Lo sguardo mi cadde irrimediabilmente l'orologio che segnava le 17:09 e il cuore perse un battito. Ero un egoista a volerla tenere ancora un po' con me?
"Devi promettermi che andrai a Londra." Disse di botto facendomi voltare.
"Come, cosa?" Scossi la testa. "Non-"
"Non–respingere gli amici, Joe." Si fermò. "Ed non se lo merita e nemmeno tu."
"Io non voglio amici."
"Io penso che tu ti sia punito abbastanza." Ogni parola penetrò dentro come un balsamo in grado di sciogliere i nodi dolenti intrinsechi al cuore. Più nodi si scioglievano, più lacrime si formavano dentro agli occhi. Il laghetto iniziò a tremare e dovetti alzare lo sguardo per evitare di piangere. Sospirai e scossi la testa. Lei parlò ancora.
"E' passato un anno, Joe."
"Non sarà mai abbastanza." La voce rotta mentre il cuore provava a mettersi apposto. "Non posso farcela."
"E' meglio salutarci adesso così avremo ancora un po' di tempo."
"Se non volessi farlo?"
"Sai che devi."
"Sarai ancora qui, anche se non potrò vederti?"
"Non mi immagino in nessun altro posto."
Con un singolo gesto sentii la sua mano posarsi sulla mia. Voltò il palmo per permettere alle nostre dita di intrecciarsi. Non sapevo darmi una risposta, ma la sua mano non sembrò fredda e sperai che quello non fosse soltanto uno scherzo giocato dalla mia testa. Mi fermai a guardarla.
Se lo avessi saputo, lo avrei fatto prima, pensai.

"Promettimelo."
Con il cuore più leggero e gli occhi un po' più stanchi la guardai ancora una volta.
"Te lo prometto."

E così, mano nella mano, ci fermammo ad ammirare la bellezza del laghetto con le ninfee illuminato da un sole sempre più basso.

"Sei pronto?" Gli occhi colmi di lacrime ed un sorriso. Le nostre mani ancora unite.
Non ancora.
"Non credo che lo sarò mai." Sbuffai una risata tra le lacrime.

Resta con me, Gin.

Resta.
Con.
Me.

Quando il sole esalò l'ultimo respiro, io chiusi gli occhi.

Quando li riaprii, lei non c'era più.

Il vento si era alzato e aveva portato con sé un odore che conoscevo. Un odore che non avrei mai dimenticato.

Il suo.

Another Ghost RomanceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora