Odore

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La cena fu piuttosto silenziosa, ma tanto meglio. Preferivo il silenzio alle scomode domande sulla mia faccia. Non sarei riuscito a fingere che non facesse male.

Federico giocava con la sua forchetta cercando di allineare tutti i piselli del suo piatto per evitare di dirmi che la carne fosse rimasta un po' cruda. Lo notavo dal modo in cui arricciava le labbra e contraeva la mascella. Lo guardavo mentre cercavo di buttare giù un po' d'acqua nel vano tentativo che la gola smettesse di farmi male.

"Senti, ordiniamo una pizza."
"Non mi andrebbe comunque." Disse continuando a dissezionare quello che aveva nel piatto. Lo guardai e il dolore fisico scese in secondo piano. Stava curvo sul suo piatto senza mai guardarmi come se fosse spaventato da qualcosa. Da me.

"Avanti, qual è il problema?" Alzò gli occhi dal piatto con le sopracciglia aggrottate, i ricci scuri gli caddero sul volto.
"Non ci sono problemi." Disse lui schietto, forse però si dimenticava  che lo conoscessi da anni.
"Stronzate, Fede. Forza." Mi appoggiai alla sedia incrociando le braccia sotto al petto. Lasciò la forchetta nel piatto ed iniziò a muovere le dita stropicciandole tra loro.
"Ho paura."
"Paura di che cosa? Ti ho già detto che sto bene." Scossi la testa.
"Con tutto il rispetto Joe, non me ne frega niente se ti fai pestare." Lo guardai attento. Aveva sicuramente la mia curiosità quando lo esortai a continuare con un cipiglio sul volto. "Tu hai perso la tua ragazza quella notte, lo so." Si fermò un attimo, alzando la voce che era diventata più roca, più matura. "Ma io ho perso mia sorella. Lei era tutto per me." Un altro colpo all'altezza dello stomaco.
"Mi dispiace, d'accordo? Continuo a non capire quale sia il punto."
"L'odore." Le dita si muovevano velocemente. "Il suo odore ha iniziato a svanire dalle cose che tengo nella scatola." Continuava a muoversi. "E se dimenticassi anche il suo volto? O le cose che amava fare?" Le mani continuarono a torturarsi e i miei occhi si chiusero per un'istante cercando di trovare una risposta efficace ad un dubbio esistenziale che attanagliava anche me.

"Fede." Tentai, ma lui aveva iniziato a respirare a fatica. "Ehi, Fede ascoltami." Mi alzai e lo raggiunsi. Lo strinsi in un abbraccio fraterno per evitare che vedesse i miei occhi diventare lucidi. Aveva iniziato a piangere anche lui e me ne accorsi perchè mi bagnò la camicia, ma poi lo sentii stringermi.

"Non la dimenticheremo, mi hai capito?" Esitai un attimo, ingoiando il groppo che mi si era formato in gola. "Lei è destinata a vivere nei nostri ricordi."
"Mamma se n'è dimenticata. Lei non ne parla nemmeno più." Lo sentii mormorare. "Come se non fosse mai esistita."

Come se non fosse mai esistita
La tua stupida ragazza morta
Lei ti vorrebbe felice

Permisi ad alcune lacrime di tracciare il loro silenzioso percorso sul mio volto prima di parlare ancora.

"A volte facciamo finta di dimenticare qualcosa sperando che il dolore se ne vada, ma poi alla fine quel dolore ti torna indietro come un boomerang, sai?" Mi fermai un attimo e quando lo sentii annuire contro la camicia continuai. "Ognuno di noi lo affronta come meglio crede, ma il dolore esige di esser vissuto" Lo allontanai per guardarlo. " Perchè un giorno ti tornerà in mente il suo sorriso o il modo buffo in cui indossava gli occhiali, e non riuscirai mai a dimenticarla."

Mi fermai ancora provando ad asciugargli le lacrime. "Gin è indelebile." Gli portai l'indice sul petto, all'altezza del cuore. "Ed è proprio qui."
"E ci starà per sempre?" Chiese.
"Per sempre." Annuii. "Ora ti prego, per l'amor di Dio, ordiniamo una pizza." Federico annuì scoppiando in una risata che durò ben poco.
"Posso farti un'altra domanda?"
"Me la stai già facendo." Presi il telefono e digitai il numero della pizzeria.
"Sei l'unico a chiamarla Gin. Perchè?"
"E' una lunga storia." Sorrisi. Lo era davvero, ed era anche uno dei ricordi più belli che custodissi. "E tu sei ancora troppo piccolo per sentirla."
"Come?" Si sentì offeso e portò le mani sotto al petto.
"Ok,hai ragione." Annuii. "Ma io sono troppo sobrio per raccontartela." Scoppiammo entrambi a ridere e finì per colpirmi con il cuscino.

Quella sera non guardammo nessuna serie tv, ma la passammo a giocare alla play e a mangiare pizza che sapeva di cartone. Penny tirava indietro le orecchie cercando di far pena per averne qualche pezzo ed ovviamente, aveva funzionato.

Forse ero riuscito a non deluderlo, ma un dubbio iniziò a farsi strada dentro di me dopo quel dialogo a cuore aperto.

Dapprima era solo un pensiero, poi iniziò a martellarmi sulle gengive fino ad insediarsi sempre più nelle membra. Era insistente e non importava quanto tentassi di allontanarlo, quello si ripresentava più insidioso e sinistro di quanto sembrasse realtà.

Mutato in mille altre forme come un virus.
Sempre più forte.

Non mi ricordo che odore aveva la sua pelle.

Another Ghost RomanceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora