Capitolo 5

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Mi sveglio di soprassalto.

Non mi ero neanche accorta di aver perso conoscenza. Mi metto a gattoni e cerco di alzarmi.
Alzarmi?

Mi guardo i polsi e le caviglie: le corde sono sparite. Faccio una smorfia quando mi accorgo che al loro posto ci sono dei profondi solchi violacei.
Appoggiandomi con una mano al muro freddo e ruvido, distendo le gambe e mi alzo. Mi gira la testa.
Ho fame.

Cerco di mettere da parte quel pensiero e mi concentro sulla stanza. La osservo.
Non ci sono finestre. È tutto quasi completamente buio e faccio fatica a vedere la differenza tra le pareti e il pavimento.

C'è una porta. Una porta di ferro. Aspetta un attimo...
Mi avvicino, strizzando gli occhi. È socchiusa.
Il mio cuore inizia a battere all'impazzata, mentre lentamente trascino i piedi per raggiungere il portone.

È davvero aperta.

La mia mente è troppo confusa per percepire un qualunque senso di pericolo, quindi sollevo con fatica un braccio e afferro la maniglia.

Posso uscire. Posso scappare di qui, mi dico.

Ma non appena il mio palmo entra a contatto con il pomello di ferro, vengo spinta via da una forte scossa che si propaga per tutto il mio corpo, buttandomi a terra. Urlo per il dolore.

Cado e mi accartoccio sul pavimento come un foglio di carta, in preda a delle fitte così lancinanti che mi impediscono di rimanere ferma.

La mia vista si annebbia, si oscura, ma riesco a sentire dei passi venire verso di me.

Cerco di tenere il più possibile gli occhi ben aperti.
Due scarpe nere ed eleganti entrano nel mio campo visivo, fermandosi di fronte a me, e io sobbalzo.

È lui. L'uomo che mi ha rapita.

Si abbassa, accovacciandosi accanto a me. Tuttavia non riesco ancora a vederlo in volto.
Una mano mi accarezza delicatamente i capelli.

"Piccola Eveline.... credi che sarà così facile scappare? Davvero pensavi che una volta aperta quella porta saresti stata finalmente libera?"
Sospira, infastidito. "So che non sei così ingenua, Eve. Perché l'hai fatto?"

La rabbia prende il sopravvento. La sua voce....così sarcastica, così.....finta, mi dà sui nervi.
Apro la bocca, cercando di parlare, ma sono così affamata e assetata che la mia lingua è praticamente ingessata. È come se fosse stata incollata al palato. Non si muove.

"Sembri affamata. Povera, piccola, Eveline.
Sembri.... impotente. Debole." Sussurra.
Bastardo.

Mi sfiora la guancia. Il suo tocco è gelido e mi trasmette addosso il terrore.
"Lascia che ora mi prenda cura di te, piccola Eveline.
Comunque complimenti.... hai resistito per più di tre giorni. Lo sapevo che saresti stata forte.
Ma lo sarai ancora quando riuscirò a distruggerti?"

Digrigno i denti ed emetto un lamento, mentre una lacrima rabbiosa mi scivola lungo la guancia.
Non mi spezzerà. Non glielo permetterò. Non lo farà.

"Risparmia le forze, Eve. Shhh...." Si muove e mi accorgo solo qualche istante dopo che ha qualcosa in una mano. Una siringa.

Una siringa?

Aspetta, aspetta, aspetta.
Quelle mani, quelle braccia.....quell'ago. Io....me li ricordo.
So chi è.
Il tizio del bar.

È lui, cazzo.

Cerco di dimenarmi ma, qualunque cosa mi abbia dato, inizia a fare effetto e i miei occhi si chiudono involontariamente.

"Vieni con me." Prima di cadere di nuovo nella totale incoscienza, mi sento sollevare e trasportare via.

Senza cuore -L'incubo-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora