Capitolo 11

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Il faro finalmente si accende, illuminando tutta la stanza.

"È ora di entrare in scena..." Mormoro, sotto le coperte. Poi le scosto e mi alzo, dirigendomi verso la porta.
Assumo un'espressione vuota, spenta. È così che devo sembrare: pazza.

Entro in bagno e mi guardo allo specchio, scostando i capelli biondi e umidi dal viso. Ho delle profonde occhiaie scure sotto gli occhi e il viso pallido, come quello di un cadavere.
Per quasi tutta la notte ho rimuginato sul mio piano. Non posso starmene qui a far niente e a subire gli abusi malati di un folle. Devo fare qualcosa, subito.

Per questo ho deciso che farò proprio il suo stesso gioco: fingerò di impazzire. Detta così sembra banale, ma è anche vero che sono stata ammessa alla scuola di recitazione più prestigiosa d'America.
Non può battermi a questo gioco.

Vincerò io.

Mi spoglio, consapevole del suo sguardo su di me e sul mio corpo, e poi entro in doccia.
Mezz'ora dopo sono pulita e profumata, i vestiti cambiati.

Diamo il via allo spettacolo.

Entro in camera e, con la stessa espressione vuota e spenta di poco fa, mi siedo in un angolo accanto al letto, contro il muro. Inizio a dondolarmi, fissando il pavimento.
Mi ricorda tanto quando ho fatto quello spettacolo, a scuola, dove ero la protagonista, una paziente di un manicomio che si innamorava del suo dottore. Ero stata davvero brava e ricordo anche gli abbracci affettuosi di mamma e papà e delle mie amiche dopo la recita, dietro le quinte.

Mi mancano. Tanto. Per questo sto facendo tutto ciò: per far in modo che lui pensi che io stia impazzendo. A quel punto non gli servirò più a nulla, e lui mi lascerà andare. E potrò tornare a casa.

Mi dondolo in quell'angolo per più di dieci minuti.
So che lui mi sta guardando, lo sento. Ed è spaventato. Spaventato perché pensa che non potrà più giocare con la sua bambolina, che si è già rotta.
Poco tempo dopo, la sua voce riecheggia nella stanza. "Buongiorno, Eveline. Come ti senti, oggi?" Non è sarcastico e sicuro come al solito.

Smetto di dondolare e guardo in alto, verso una telecamera. Inclino la testa la testa di lato, e poi sfodero il sorriso più folle ed insano che riesco a fare. "Bene. Mi sento bene. Sì, bene." Rispondo, e ridacchio.
"Ne sei...sicura?" La sua voce è quasi....tremante.
Oh-oh. Ha paura, il bastardo. Bene.
Smetto di ridere all'istante, decidendo che per ora può andar bene così. Se mostro comportamenti troppo strani, all'improvviso e da un giorno all'altro, mi scoprirà. "Si, si. Sicura....sicura. Sicura." Ripeto, annuendo.

Lui non parla più, però so che è ancora lì, ad osservarmi. Ed io continuo con la mia recita, restando seduta e dondolandomi nell'angolo. Devo sembrare davvero credibile. Spero solo se la stia bevendo.

Un paio d'ore più tardi, Damon entra nella mia stanza, facendomi leggermente sobbalzare per lo spavento.

Richiude la porta dietro di lui e poi si china di fronte a me. "Ho un patto da proporti, Eveline. Tu la smetti con questa scenata e io ti faccio fare una passeggiata, fuori di qui."
Alzo gli occhi di scatto. Cazzo, mi ha scoperta. No....non doveva andare così. Cerco di rimanere indifferente e continuo a non guardarlo, tornando a fissare il pavimento.

Lui mi posa due dita sotto il mento, sollevandolo leggermente. "Non ti manca il calore del sole, Eve? L'aria fresca e....il vento sulla pelle, tra i capelli?" Mormora.
Diamine se mi mancano. Anche se sono tentata, non devo cedere. Perchè non mi fido di lui.
"Ti farò fare una passeggiata in giardino, da sola. Potrai fare ciò che vuoi. Sarai libera. Io resterò in casa a monitorare solo la situazione."

Il battito del mio cuore aumenta. Dal suo giardino, potrei riuscire a capire dove mi trovo. Forse potrei persino riuscire a trovare una via di fuga.
Alzo lo sguardo, socchiudendo gli occhi. "Stai....stai parlando sul serio?" Chiedo con un filo di voce.

E poi lo vedo. Quel piccolo, sfuggente, impercettibile cambiamento dell'espressione, che da rassicurante si trasforma in furiosa. La sua mascella si serra, i bellissimi occhi scuri si spalancano e le sue forti mani mi afferrano all'improvviso per il collo. Apro la bocca in cerca d'ossigeno, mentre le sue dita stringono e fanno pressione.

"Sei una schifosa bugiarda!" Mi urla in faccia, fuori di sè. Mi solleva da terra, sempre per il collo, facendomi alzare in piedi. Io mi appoggio alle pareti di fianco a me, chiudendo forte gli occhi e cercando di respirare il più possibile.
"Mi hai mentito! È da stamattina che hai continuato con questa messa in scena, facendomi preoccupare. Ma credi che io non ti conosca, Eveline?" Continua ad gridare.

Stringe di più e io spalanco gli occhi, sentendo il sangue defluire al cervello, come se qualcuno mi avesse rovesciata a testa in giù. "So tutto di te. Ti ho osservata per anni e anni. Pensi che io non sappia che stai studiando per diventare una cazzo di attrice?! Pensi che io non sappia che sei anche dannatamente brava, eh?!" Le sue mani mi stringono sempre di più. E ancora di più.

Mi ucciderà?  Il suo sguardo è infuocato dalla rabbia.

"Sei solo una bugiarda del cazzo, proprio come tua madre."







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