4. Promesse

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Fine Giugno 1998

Londra, San Mungo

Erano passate due settimane dal suo risveglio e, finalmente, l'odioso medimago che l'aveva in cura, e che ancora non osava guadarla dritto negli occhi, le aveva dato il permesso di uscire dalla stanza e camminare un po'. Era solo da qualche giorno che riusciva a fare due passi da sola senza crollare a terra esausta, il suo corpo risentiva ancora degli effetti dell'incantesimo oscuro.

Nella sua stanza si alternavano la professoressa McGranitt, Harry e a turno un membro della famiglia Weasley.

Raramente era sola per un lungo periodo e la cosa le andava più che bene. Restare sola voleva dire pensare a quello che aveva fatto.

Quella mattina toccava ad Harry.

Quando era entrato nella camera l'aveva aggiornata come sempre su quello che succedeva nel mondo fuori da quelle mura; a volte chiedeva il suo consiglio su cose più o meno importanti, ma spesso facezie. Le portava sempre un mazzo di fiori freschi, anche se la camera ne era ormai invasa.

Quella mattina era lei che doveva chiedergli un favore e sapeva che Harry era l'unico che l'avrebbe aiutata senza fare domande. O, comunque, senza fargliene troppe.

Reggendosi a lui percorse la breve distanza che separava la sua stanza a quella di Piton.

Entrò con un groppo alla gola, sentendo le lacrime pizzicarle gli occhi e un pesante macigno sul petto.

Staccandosi dall'amico fece pochi, incerti passi fino al letto. Si sedette sulla sedia accanto al mago e chiuse gli occhi, riprendendo le forze.

In quelle due settimane si era ricordata tutto quello che era successo in quel limbo dov'era precipitata quando aveva pronunciato l'incantesimo. I ricordi la colpivano ad ondate più o meno forti. A volte erano solo sensazioni, altre volte erano solo lievi sguardi o fugaci sorrisi che la facevano arrossire, altre ancora erano veri e propri dialoghi. Alla fine era riuscita a ricordare ogni parola, ogni sensazione, ogni immagine di quel luogo che si distruggeva mano a mano che la disperazione del mago aumentava.

E poi arrivava l'odio. L'odio per quell'orrida donna che l'aveva lasciato solo in vita e anche nella morte.

Non ne aveva parlato con nessuno, era una questione tra lei e Piton.

Quando le facevano domande, spesso cercando di coglierla impreparata e lanciandogliele a bruciapelo, diceva che il suo ultimo ricordo lucido era lei che iniziava a recitare la formula in quella casa.

Poi solo una serie di immagini senza senso e frasi dette solo a metà.

- Puoi prestarmi la tua bacchetta, Harry? - domandò con un di filo di voce.

- Il medimago ti proibisce ancora di fare magie? - fece l'altro passandogliela.

- Dice che potrebbe stancarmi troppo. - spiegò la strega con una smorfia – Ma credo che il suo più grande timore sia che possa andare in giro per l'ospedale a lanciare incantesimi oscuri come petardi Babbani a Capodanno.

Sentì Harry ridacchiare alle sue spalle, prese la bacchetta e la fissò per qualche istante. Erano settimane che non stringeva una bacchetta magica, quella che aveva usato in battaglia le era stata tolta, era ancora quella di Ballatrix e non se ne dispiacque poi molto. La mano tremò appena quando fece apparire un vaso di vetro e un mazzo di fiori.

- Ci vuole un po' di colore in questa stanza.

- E' probabile che lui lo consideri uno spreco di spazio.

Sorrise e, con un altro colpo di bacchetta, tirò le tende della finestra lasciando che entrasse la luce del sole.

- L'oscurità l'ha avvolta abbastanza, professor Piton. - disse – E' ora di rinascere nella luce.

Si alzò a fatica dalla poltrona, Harry le offrì la mano, ma lei la rifiutò; voleva farsi vedere forte.

Gli mise una mano sulla guancia e si chinò sul suo volto. Alle sue spalle Harry pensò che stesse per baciarlo, invece lei si avvicinò al suo orecchio e gli sussurrò qualcosa.

Si sentì improvvisamente di troppo, avrebbe voluto distogliere lo sguardo per non invadere quello che sembrava il loro spazio privato, ma non riusciva a distogliere gli occhi.

La vide sollevarsi e fissarlo in volto come se anche lui potesse vederla.

Si domandò, per l'ennesima volta, cosa fosse successo in quella casa.

Hermione sorrise al volto immobile del professore, gli sistemò con dolcezza una ciocca ci capelli, poi allungò una mano nella direzione dell'amico per farsi aiutare.

Ritornati in camera l'aiutò a sdraiarsi, effettivamente quei pochi passi e quelle due semplici magie l'avevano stancata, ma lei non voleva farlo vedere.

Invidiava il suo coraggio e la sua forza. Lui aveva sconfitto Lord Vodemort, ma era stata fortuna, la maggior parte delle volte non sapeva cosa fare, come muoversi. Aveva solo seguito il suo intuito.

Hermione invece...

La vide chiudere gli occhi stremata, aveva anche iniziato a tremare per il freddo nonostante fosse piena estate.

- Posso farti una domanda, Hermione? - le chiese mentre la copriva con una coperta pesante.

Lei annuì affossando la testa nel cuscino.

- Cos'hai detto prima a Piton?

- Gli ho detto che mantengo sempre le mie promesse. - biascicò lei, poi sollevò gli angoli della bocca in un sorriso divertito – E che come Bello addormentato non convince nessuno. - finì prima di addormentarsi di colpo.

Eligis tuum iter (scegli ciò che desideri)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora