apocalypse

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la fine del mondo era dietro l'angolo. ormai l'avevamo capito tutti. ormai era troppo tardi per fare qualcosa.
c'era una strana atmosfera da giorni. pesante, cupa, acre. quando uscivo di casa mi bruciavano gli occhi. non per la luce, non per l'inquinamento o cazzate varie. gli occhi mi lacrimavano per l'apocalisse.
forse il mio corpo voleva abituarsi a quell'aria nuova e irritante, un po' come fa con le malattie. ma il problema è che l'apocalisse non è una malattia, è solo un evento che mette fine ad ogni cosa. mette fine ad ogni vita. le dozzine di animali morti di cui mio padre ha dovuto sbarazzarsi e le piante appassite della vicina, abituata a fare giardinaggio e nient'altro, sono la prova.
anche le persone ormai erano morte. o almeno le loro anime. passavano i giorni ad aspettare la fine oppure andavano in panico e iniziavano a fare scorte, facendo finta di avere ancora speranza, la speranza di salvarsi. e invece questa era morta con le loro anime.
in giro la gente non parlava di apocalisse. erano convinti che facendo finta di nulla, sarebbe passato tutto. o almeno l'avremmo affrontato tutti con tranquillità. ma nessuno era tranquillo. stavamo tutti soffrendo in silenzio. facevamo la spesa, andavamo a lavoro, ma nessuno percepiva il mondo come prima. il non parlare dell'apocalisse presto si era trasformato in un non parlare assoluto.
ma io avevo bisogno di parlare. mi serviva per distrarmi, per riuscire a sopravvivere a quel silenzioso caos che stava distruggendo tutti.
non avevano capito che la vera apocalisse implicava anche quel terrorismo psicologico di cui nessuno parlava, ma che tutti subivano.
avevano tutti paura della fine, convinti che quell'evento sarebbe stato una catastrofe.
e invece non è stato niente di così terribile. era solo un tramonto. l'ultimo.

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