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Shamira guardò in su, soffocata dal terrore. Ma non c'era che il suo amico inginocchiato sul piccolo natante, teso per aiutarla a salire a bordo.

- Lo so che è stato orribile, ma non possiamo rimanere qui - mormorò stringendola a sé per confortarla. - Guardami! - disse poi fissandola dritta negli occhi. - Ti aiuto io, va bene? -

Successe una cosa strana. Fu come se quello sguardo raggiungesse qualche punto nascosto dentro di lei. Sentì il nodo di terrore che le serrava la gola allentarsi, abbastanza da restituirle un filo di voce.

- Sì... - riuscì a sussurrare debolmente.

Sì aggrappò alla sua mano e si lasciò guidare senza opporre resistenza, come se stesse sognando di camminare invece di farlo davvero. Raggiunsero la torretta. La robusta porta fasciata di ferro era sbarrata, ma una fune pendeva dalle merlature oscillando nel vento.

- Vado su a controllare! Torno presto... - promise infilandosi la scimitarra nella cin­ta e iniziando a risalire a forza di braccia. Shamira lo seguì con lo sguardo fino a quando scomparve oltre i merli di pietra. Non passò molto prima che la porta venisse spalancata dal­l'interno e Tavish si affacciasse trafelato.

- Entra, presto! -

Il ragazzo richiuse e sbarrò l'uscio appena l'ebbe varcato.

- Vieni! Kasey è ferito! - disse facendole strada lungo la rampa che portava al piano superiore.

Mastro Kasey, il capitano della torre. L'uomo dalla risata roboante che amava i libri e i falchi pescatori. Che le stava insegnando a leggere e che le aveva fatto indossare il guanto di cuo­io, per permetterle di tenere sul pugno il suo amato Chevalier dalla coda striata. Quale mo­stro poteva avergli fatto del male?

Entrare nella stanzetta dove abitava le fece salire le lacrime agli occhi. Gli scaffali, ricol­mi di volumi meticolosamente ordinati, ora erano infranti e ribaltati, i testi squadernati e sparsi ovunque, come uccelli feriti tra le suppellettili in pezzi. Il posatoio di Chevalier era ribaltato e il falco si dibatteva stridendo, malamente intrappolato dalla lunga che lo legava al trespolo. Sfidando gli artigli e il becco aguzzo del rapace, Shamira si affret­tò a liberarlo e a rimetterlo al suo posto.

Poi lo vide.

Kasey era accasciato contro una parete, con un lungo sfregio che gli attraversava il lato destro del volto e uno squarcio profondo all'altezza della coscia. Trovò la forza di sorriderle.

- Grazie, piccola... Non sopportavo di vederlo così... -

Tavish aveva tratto da uno stipetto una fiasca di liquore e delle bende.

- Cerca di medicarlo come meglio puoi. Fatti spiegare da lui come fare. Io devo dare l'allarme, sperando che non sia troppo tardi! - disse affrettandosi su per la scala a pioli che dava alla terrazza.

- Quei maledetti mi sono calati addosso dal tetto, che Kariun se li porti! - grugnì Kasey sputando in direzione di due fagotti di stracci che Shamira si sforzava di non guardare. - Cer­ca un bastoncino sottile dal focolare, ragazzina... Ecco, quello va bene. Adesso la benda... tagliane un pezzo lungo come il tuo avambraccio. Devi passarlo sotto alla gamba e poi farci un nodo... - L'operazione lo fece impallidire, ma soffocò il gemito tra i denti stretti.

- Adesso il bastoncino... Lo infili e lo giri come un cavaturaccioli per stringere la ben­da. Ecco, per adesso può bastare. Almeno per un po' non morirò dissanguato. La fiasca ora. -

Shamira, obbediente, gliela portò. L'uomo la stappò coi denti, ne bevve una lunga sorsata, poi usò il resto per aspergerne il volto e la gamba ferita. Il muggito perentorio del corno che annunciava un pericolo incombente coprì i suoi lamenti.

- Benda la faccia come meglio puoi, piccola. Tanto non era un gran bello spettacolo neanche prima... - ridacchiò debolmente.

- Che sta succedendo, mastro Kasey? Chi sono questi assassini? - chiese la ragazzina avvol­gendo cautamente il volto con la garza.

- Pirati valitiani, bambina... Assaltano le città della costa per depredare e rapire gente, da vendere come schiavi nei mercati di Lashar. E questi erano solo un piccolo gruppo di in­cursori. Devono essere approdati con una lancia oltre la scogliera, in modo che non li scorgessi. Contavano di sorprendermi perché non potessi dare l'allarme. E ci sarebbero riusciti se non foste arriva­ti voi! C'è nebbia al largo. La loro nave sarà nascosta là in mezzo.

Il suono del corno si interruppe all'improvviso. Tavish si sporse dalla botola.

- Kas, stanno arrivando! Ho visto tre lance cariche! Cosa possiamo fare? -

L'uomo strinse la daga abbandonata al suo fianco e tentò di far forza sulla gamba per alzarsi, ma ricadde sul pavimento gemendo penosamente.

- Non devi muoverti! Dimmi, piuttosto, che armi hai qui? -

- C'è il mio arco, là, nella cassa! Vai, ragazzina. Per me non puoi fare altro. -

Shamira strinse i denti e scavalcò il braccio di uno di quei fagotti che era stato un pi­rata, aprì la cassa da marinaio e trovò un lungo arco di tasso e due grossi mazzi di frecce già impen­nate. Passò tutto all'amico e poi salì anche lei sino alla piatta cima sporgente della torre, dove il fuoco di segnalazione ruggiva nel braciere di ferro battuto. Guardando il mare di tra i merli corrosi, scorse le tre snelle imbarcazioni spinte verso il golfo dal moto potente di due file di vogatori.

- Stai giù! È pericoloso! Col fuoco alle spalle siamo un bersaglio sin troppo facile! - le intimò il giovane che, incordato l'arco, aveva incoccato la prima freccia e si era posto in ag­guato.

Tavish attese. Attese fin quando la prima delle imbarcazioni giunse a poco più di cen­to passi dal promontorio. Poi il Kadir che era in lui riprese il sopravvento. Il suo sguardo assunse quella luce feroce, le sue mani iniziarono a muoversi con letale precisione, i dardi che partivano sibilando come fulmini mortali scagliati dalle braccia infaticabili di un dio vendicatore. Urla e imprecazioni giunsero sin lassù, quando i colpi andati a segno iniziarono a far strage tra i rematori.

Tre barche di nemici, tuttavia, erano troppe anche per la collera di un Kadir, che re­stava comunque soltanto un uomo. Gli equipaggi, pur decimati, toccarono il promontorio, sciamarono sugli scogli e riversarono il loro odio selvaggio sulla torre presidiata. Quando Tavish si sporse troppo nel tentativo di sganciare il rampino lanciato da uno degli assedianti, un dardo insidioso lo raggiunse.

Shamira reagì d'istinto. Vedendo l'amico barcollare oltre il bordo della murata, si slanciò nell'impossibile tentativo di arrestarne la caduta. La piccola mano afferrò la cinta di cuoio e il peso la trascinò nel vuoto con lui.

Persino allora Tavish cercò di proteggerla. Le sue braccia le si chiusero intorno prima dell'impatto.

La Ragazza che veniva dal Mare #wattys2023Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora