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Forse era stato riudire il suo nome. Oppure l'aver parlato così a lungo con qualcuno dopo tanto tempo, scoprendo un aspetto ignoto di quel lacerante ricordo. O forse il suono musicale di quella lingua, che per una par­te di sé che credeva morta per sempre era stata la voce stessa dell'amore.

Oppure quel tepore, percepito persino attraverso le pieghe del sonno, perché la ragaz­zina, vinta dalla stanchezza, si era addormentata raggomitolata contro la sua schiena. Fu lì che Tavish la scoprì, destato dalle prime luci dell'alba autunnale invece che dai propri per­sonali fantasmi.

Si mosse piano per non svegliarla, inspirando sino in fondo al petto l'aria ancora fred­da del mattino, ascoltando in silenzio i rumori del campo dei lavoranti che si levavano alle nuove fatiche del giorno.

- È questo che vuoi? Darmi un'altra possibilità? - chiese in un sospiro stanco a un interlocutore noto solo ai suoi pensieri. La domanda si perse nella penombra insieme allo spettro perlaceo del suo fiato rappreso.

Poi Shamira rabbrividì e aprì gli occhi.

La guardò e vide il suo visetto pallido aprirsi in un gran sorriso. Ci mise un po' per capire che era in risposta al suo.

- Era buona davvero la canzone di tua sorella - disse Tavish con voce roca, sfiorando con una carezza ti­mida il velo di fitti riccioli bruni, che stavano tornando a inspessirsi.

Se la ritrovò con le braccine sottili a collana intorno al collo, il visetto affondato in quella sua barba ruvida come fil di ferro.

Tavish avvertì il calore risalirgli sino al viso e accendergli le guance. Ma sotto gli strati lanosi e la polvere vecchia che gli incrostava la pelle, neppure Shamira se ne accorse.

La Ragazza che veniva dal Mare #wattys2023Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora