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Tavish stipò in fretta i loro pochi averi nella sua bisaccia e se la caricò in spalla. Dopo­diché avvolse Shamira nella sua coperta logora e, stringendola a sé, abbandonò il fienile tagliando per i campi. Camminò, camminò e camminò ancora, evitando i sentieri bat­tuti e le greggi al pascolo, aggirando gli abituri isolati e i frutteti. Inerpicandosi super il letto disseccato di un torrente giunse fino a un fitto di alberi, addentrandovisi sino a che la luce gli consentì di vedere dove metteva i piedi.

Il caso o la fortuna lo guidarono sino a due possenti lastroni di roccia che parevano essere stati incastrati l'uno contro l'altro dalle mani di un gigante, creando una conca che po­teva offrire un minimo di riparo. Lì depose Shamira, che neppure parve accorgersene.

Tavish sentiva il proprio corpo gemere e protestare a ogni respiro, ma si costrinse a camminare ancora nonostante le gambe pesanti come tronchi e le braccia irrigidite dalla fati­ca. Raccolse fasci di felci per approntare un giaciglio un poco più comodo per la sua piccola amica, poi vagò nei dintorni accumulando bracciate di legna secca, perché la stagione era avan­zata e con la notte sarebbe venuto anche il freddo.

Sfregando il suo coltello contro la pietra focaia ottenne qualche pallida scintilla, che aggredì l'esca di foglie morte che aveva preparato. Quando una timida fiammella si levò in­certa, la nutrì con cautela aggiungendo rami sottili e poi via via più spessi, fino a quando un bel falò scoppiettante rischiarò il buio.

- Ecco. Così questa notte staremo al caldo - disse volgendosi a Shamira.

La ragazzina non rispose. Giaceva immobile nella coperta sbiadita, girata su un fian­co e con gli occhi sbarrati, esattamente dove l'aveva lasciata quando erano arrivati.

- Guarda! Prima di andar via sono riuscito a prendere questa. Senti come profuma! - tentò incoraggiante aprendo in due vicino al suo viso una grossa arancia dagli spicchi vermi­gli.

Shamira non mosse neppure le palpebre.

No, no, no! Così non andava bene! Doveva scuoterla, farla parlare, che piangesse o gridasse, tutto piuttosto che quel mutismo senza speranza! Ma come riuscir­ci? Come?!

Tavish, la chiamò, ancora e ancora, sollecitandola a reagire, senza risultato. Si aggira­va inquieto avanti e indietro, avanti e indietro senza più sapere che fare. Poi, sfinito e dispe­rato, crollò in ginocchio accanto a lei e, sfiorandole timidamente i corti capelli ricciuti, iniziò a raccontare.

La Ragazza che veniva dal Mare #wattys2023Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora