𝐀𝐂𝐓 𝐈. 𝘠𝘰𝘶 𝘭𝘰𝘰𝘬 𝘩𝘢𝘱𝘱𝘪𝘦𝘳, 𝘺𝘰𝘶 𝘥𝘰.

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Saw you walk inside a bar,

he said somethin' that makes you laugh.






Era stato un attimo; un solo, fugace istante. Certe volte il destino era infame, malvagio, crudele.

Quell'attimo era stato tutto e niente per Song Mingi, in quella giornata qualunque, parte di una solita routine ed un mese abbastanza monotono. L'autunno aveva portato con sè le foglie e anche il grigio della giornata, aveva portato con sè la solita pigrizia che precedeva poi la frenesia del periodo natalizio. Un attimo che aveva dato inizio ad una tortura, Mingi. Un attimo che era bastato per ricordare e provare dolore adesso come allora.

Era un ventitré settembre qualunque. Ventitré. Un giorno a caso.

Un giorno di schedule piena a metà, in cui Mingi aveva deciso di fare una pausa dai testi del nuovo album, dalla dance practice e da lgruppo. Non perché non amasse i ragazzi, per l'amor del cielo, ma a volte – soprattutto gli hyung – erano un po' troppo invadenti.

Certe volte, quello di cui aveva bisogno Song Ming, era soltanto staccare il cervello per un po', fingere di essere un'altra persona, camminare a Seoul come se non fosse un Idol famoso.

Essere soltanto Song Mingi e non il rapper degli Ateez, Mingi.

Non ci riusciva da molto tempo, ormai, ad essere sè stesso, eppure ogni tanto ci tentava a riprendere sè stesso – ma finiva sempre con l'essere bloccato in un negozio aspettando che i fan se ne andassero, con il rimanere in mezzo al parcheggio firmando gli autografi finchè manager-nim oppure Hongjoong non lo andassero a recuperare al limite dello stress.

Anche quel giorno Mingi lo sapeva che la sua felicità statica – mentre passeggiava oltre il parco di Seoul, con il suo caffè da Starbucks in mano, tra le foglie cadute , gli occhiali da sole inforcati scrutando il mondo attraverso le lenti colorate – non sarebbe durata a lungo.

Il destino era brutale.

Era stato un attimo, era bastato solo quello per frantumarlo in mille pezzi, per mandare in tilt il cervello del rapper. I suoi occhi erano rimasti incollati oltre la fine della strada, oltre le strisce pedonali, la gente che attraversavano il semaforo rosso, il marciapiede. Tutto intorno non contava più nulla. Mingi era fermo lì, sul ciglio della strada con due lacrime che gli erano involontariamente scese dagli occhi, mascherate dagli occhiali da sole, scendendo lungo la mascherina poggiava sul naso, andandosi a posare sulle labbra carnose strette tra loro, rabbiose e malinconiche allo stesso tempo.

Lei se ne stava lì, bellissima come sempre, i lunghi capelli neri lisci. Il fisico era snello come al solito – anche vedendola di schiena Mingi sapeva che non era ingrassata nemmeno di un chilo – e coperto da un lungo cappotto rosso. Lei amava il rosso – non indossava nessun altro vestito colorato, se non di rado il bianco, ma il rosso era ovunque. Indossava un berretto alla francese. E poi lei si era voltata, e rideva. Non un semplice sorriso – rideva proprio di gusto, serenamente,  come non faceva da molto, molto tempo.

Di fianco a lei c'era un uomo. Un uomo qualunque, con una giacca qualunque e dall'aspetto comune, eppure – lei sembrava la donna più felice della terra.

L'uomo non era lui, ma lei sembrava più felice.

Fino a quel momento Mingi si era convinto che lei sarebbe potuta rimanere con lui, che nonostante sarebbero stati felici insieme, che lui non le avrebbe fatto mancare nulla, ma non era vero. Adesso era felice.

Le aveva spezzato il cuore, e adesso Hana non aveva più bisogno di lui. Le aveva spezzato il cuore, si erano lasciati andare – abbandonati, come si faceva con le cose vecchie – e adesso Hana era felice ma Mingi no.

𝐜𝐚𝐧 𝐰𝐞 𝐟𝐚𝐥𝐥, 𝐨𝐧𝐞 𝐦𝐨𝐫𝐞 𝐭𝐢𝐦𝐞? | 𝘴𝘰𝘯𝘨 𝘮𝘪𝘯𝘨𝘪 (✔)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora