Il senso di colpa

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Lev è un amico di vecchia data. Un bravo ragazzo, un po' ingenuo magari, ma sicuramente una brava persona. Per quanto abbia il tipico aspetto di un inetto alle prime armi con qualsiasi cosa, svolge un bel lavoro, complesso, importante. È un medico d'urgenza con una ulteriore laurea in chirurgia addominale ed è occupato presso una organizzazione non governativa umanitaria internazionale. Ha gestito diversi reparti nelle zone più povere del pianeta, operato persone di ogni etnia e delle più basse estrazioni sociali, senza mai lamentarsi per la mancanza di strumentazione adeguata ma sempre alla ricerca del metodo migliore per salvare la vita ad ogni suo paziente. Purtroppo gli è capitato anche di perderne, certi interventi possono essere impossibili nonostante tutta la buona volontà. Questo non lo ha mai fermato e non si è mai lasciato sconfortare dai propri fallimenti, è sempre stato alla ricerca di chiunque possa avere avuto bisogno di aiuto, convinto dell'importanza del suo operato. 

L'ho incontrato poco tempo fa al funerale di suo figlio, Stepan. È morto di overdose lo scorso inverno. Non vorrei proprio immaginarmelo, ma non ci riesco, un ragazzino di 17 anni, da solo in una camera di ospedale gialla circondato da dottori ed infermieri che non lo conoscono, pieno di tubi su tutto il corpo mentre sente la morte incombergli sopra. Gli è bastata una pillola per collassare completamente. Se solo non avesse voluto farsi notare, se solo fosse stato più prudente. Ormai non importa più, è praticamente morto. Terrore e lacrime nei suoi occhi, vorrebbe urlare o riuscire almeno a dire qualcosa, magari un "mi dispiace, voglio vivere, vi prego aiuto" e invece non esce alcun suono dalle sue labbra, solamente bava giallastra. Vorrebbe che sua madre fosse lì a salvarlo, ma non c'è, e neanche suo padre ovviamente. Che poi quando mai l'ha visto suo padre? Un lungo weekend ogni due settimane, che per 17 anni equivale a circa 1326 giorni, meno di 4 anni. Sua madre gli ha sempre parlato male di suo padre, come di un ritardato insensibile a cui non fregava niente di loro due e dopo diversi anni se n'è convinto pure lui, dopotutto non lo vedeva mai. I genitori di Stepan si erano conosciuti durante una delle visite di Lev all'ospizio dove aveva rinchiuso la sorella. Parliamo del periodo in cui lui faceva ancora la specializzazione e si era infatuato di una giovane oss che si occupava proprio di sua sorella. Mentre questa doveva aiutare la ragazza a lavarsi e vestirsi, lui flirtava spudoratamente e alla fine è riuscito a portarsela a letto. Lev era sicuramente un ragazzo poco fortunato, nonostante la buona somma di denaro posseduta dai genitori, perse durante l'adolescenza la gioia di stare con loro, e lo stesso valse per la sorella, molto più fragile di lui, che non si riprese più dallo choc e cadde prima nella schizofrenia e poi nella demenza. Inizialmente cercò di occuparsene da solo ma fu presto costretto a consegnarla ad un ente più competente ed abile nell'averne cura. Si è giurato di andare a visitarla tutti giorni, poi tutte le settimane e infine solo una volta al mese. Aveva perso in buona parte l'affetto per la persona che lo aveva spinto a diventare medico, ma non ha mai smesso di ringraziarla per la gioia datagli dal lavoro. L'oss invece gli sembrava un nuovo stimolo, una nuova leggerezza con cui lanciarsi in volo sopra le nuvole e i cumulonembi, e che alla fine si è dimostrata soltanto una trappola. Si è fatta ingravidare solo per avere gli alimenti e vivere sul lavoro altrui, o almeno così la raccontava lui, ed effettivamente a lei non è mai interessato particolarmente crescere un figlio, si intascava i soldi e ne spendeva pochi per mantenerlo. E mentre il piccolo Stepan cresceva senza attenzioni in un ambiente freddo e anaffettivo, Lev è fuggito il più lontano possibile, tenendosi occupato con cose "importanti" come le vite altrui, proprio per ignorare la sua. Delle proprie scelte si pagano sempre le conseguenze. 

Non c'era molta gente al funerale, non quanta mi aspettassi per la morte di un ragazzino di 17 anni. Nessun compagno di classe o amico di infanzia, solo un mucchio di vecchi babbioni come me, amici del padre o della madre. Quest'ultima era profondamente contrita, pareva aver perso 20 anni di vita e aveva uno sguardo secco, come se non avesse più lacrime da versare da quanto aveva pianto. Mi sono sentito una brutta persona quando mi sono ritrovato a pensare che in fondo lei se lo meritava, perché deve essere un dolore immenso e innaturale perdere un figlio prima del tempo. L'ambiente era soffocante e cupo e l'omelia del prete è stata una delle più banali che abbia mai sentito, probabilmente non ne aveva voglia nemmeno lui. Nel momento in cui bisognava portare la bara si è alzato subito soltanto Lev, perciò mi sono proposto anch'io per aiutarlo. Quando siamo usciti dopo il funerale abbiamo parlato di tante cose, il lavoro, la vita, "ti ricordi di quando...", ma tutto terminava sempre in un silenzio imbarazzante. Al ché io con aria comprensiva e forse ipocrita gli ho detto guardandolo dritto negli occhi: "mi dispiace ma non è colpa tua". A quel punto Lev non è riuscito più a trattenersi ed è scoppiato in un pianto senza lacrime, come se si sforzasse di provare dolore, perché lui doveva sentire quel dolore. Non ho la certezza lo sentisse sinceramente, di fatto non era stato veramente padre un solo giorno di tutta la sua vita e io non potevo certo biasimarlo. Ha cercato di convincersi di sentire un fortissimo senso di colpa, verso i suoi genitori, sua sorella e soprattutto il suo unico figlio, come se non bastasse il dolore della perdita ma dovesse essere anche responsabilità sua, perché non si soffre mai abbastanza. Mi ha detto di pensare di essere una persona patetica e orribile e che nessuna vita salvata potrà mai fargli cambiare idea, ma credo ci fosse molta posa dietro queste affermazioni. 

Gli ho creduto invece quando mi ha detto che non voleva tornare mai più perché la patria gli ricordava solo una serie di fallimenti e di errori imperdonabili. Probabilmente lo pensava davvero, o forse era solo l'ennesimo scudo di fronte ai mali della vita. Ci siamo salutati e non l'ho più visto né sentito. L'altro giorno ho riavuto sue notizie da Sarah, una sua collega presso il campo in cui sta lavorando dagli ultimi sei mesi, da me conosciuta anni fa in Bangladesh, la quale mi ha assicurato che secondo tutti lì al centro sanitario improvvisato Lev è la persona più buona gentile e disponibile mai vista in quelle terre lontane. Potrebbe parere brutto da dire, ma senza quel fittizio infinito senso di colpa che lo schiaccerà per tutta la vita, forse non sarebbe così bravo.  

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