Capitolo 1: il Pick up nero

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Nella fitta oscurità delle vie sotterranee di Seoul c'era un luogo che sfuggiva al tumulto della città. Era un angolo dimenticato, nascosto sotto le strade una volta trafficate e illuminate dai neon, dove il caos urbano sembrava fermarsi, lasciando spazio al silenzio e alla solitudine.

Il sottoscala era un labirinto di umidità e oscurità che si snodava sotto la superficie della città come un serpente addormentato. Le sue pareti di cemento grigio, scrostato dal tempo e sporco di muffa, si protendevano verso l'alto, mentre il pavimento grezzo e irregolare si perdeva in una rete di corridoi e stanze dimenticate.

Eppure, nonostante la desolazione e l'abbandono che lo circondavano, il sottoscala era diventato il rifugio di due anime smarrite.

Era una calda mattina d'estate quando l'epidemia aveva iniziato a dilagare, come un'ombra sinistra che si insinuava tra le vie della città. All'inizio, le notizie erano confuse e frammentarie, ma presto era diventato chiaro che si trattava di qualcosa di terribilmente serio. Le strade si erano svuotate, le attività commerciali avevano chiuso i battenti e la paura si era diffusa come un virus.

Alex era stata costretta a fuggire dalla sua casa. Aveva visto tutti attorno a lei soccombere all'implacabile malattia, impotente di fronte alla morte che li aveva strappati via. Ma anche se il mondo intorno a lei stava crollando, aveva avuto la forza di aggrapparsi a una speranza, un barlume di luce nel buio che avrebbe potuto condurla verso la salvezza. E non avrebbe smesso di lottare finché non avesse trovato un posto sicuro.

Jun, ancora un ragazzino fragile e dagli occhi colmi di tristezza, aveva perso i suoi genitori quando l'epidemia aveva iniziato a mietere le sue prime vittime, lasciandolo solo e spaventato in un mondo dove la morte era diventata la compagna di ogni giorno. E così, mentre tutto intorno a lui crollava, Jun trovò una luce nel buio. Era stata Alex a tendere una mano verso di lui, e così, insieme, avevano trovato rifugio in quel sottoscala.

Non era certo un luogo accogliente o confortevole, ma rappresentava l'unica difesa disponibile contro l'orrore che accadeva in superficie. Insieme, avevano cercato di rendere quel luogo un po' più vivibile, una vecchia coperta stesa sul pavimento di cemento grezzo serviva loro da letto, nell'angolo una bottiglia d'acqua semi-vuota, qualche barattolo di cibo in scatola e un piccolo coltello a serramanico, il loro unico strumento di difesa.

La notte si appisolavano a turno, cercando di trovare qualche momento di riposo in mezzo all'angoscia che li avvolgeva. Le urla lontane e i lamenti disperati si facevano sempre più rari, segno che la minaccia degli infetti si era temporaneamente placata. Ma entrambi sapevano che non potevano abbassare la guardia, non finché non fossero al sicuro lontano da quel terrore.

Quella notte Alex e Jun erano seduti sul pavimento freddo del sottoscala, avvolti nella penombra. Il ticchettio regolare delle gocce d'acqua che cadevano dal soffitto riempiva l'aria densa, interrotto solo dal loro respiro.

"Dannazione, non ce la faccio più," mormorò Jun, la sua voce graffiante nel buio.

Alex si voltò verso di lui. "Che succede?"

"Io... Io non ce la faccio più a stare qui a far nulla," rispose Jun, facendo scivolare le dita tra i capelli in un gesto nervoso. "Dobbiamo fare qualcosa, Alex. Non possiamo rimanere bloccati qui per sempre."

Alex annuì, il suo viso illuminato appena da una debole luce proveniente dall'esterno. "Hai ragione," disse, "dobbiamo fare qualcosa, ma dobbiamo anche essere cauti. Non possiamo permetterci di correre rischi e finire in una situazione ancora peggiore di quella in cui siamo adesso."

Jun si alzò di scatto, il suo volto giovane era contratto dall'ansia. "Non lo so, ma dobbiamo trovare un modo per uscire da qui. Non possiamo rimanere intrappolati in questa prigione sotterranea per sempre. Meglio rischiare là fuori che marcire qui dentro."

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