«Quanto il mio candido cuore doveva conoscere di Maya ancora non mi era dato di sapere. Credevo, nella mia ingenuità, di possederla, di essere agganciato alla sua anima e stazionare al centro dei suoi pensieri, invece ahimè, così non era. I suo pensieri erano tutt'altro che noti e manifesti, infatti, lungi dal palesarne la natura più profonda, Maya lasciava solo che s'intravedesse qualcosa, dava ciò che voleva dare in piena consapevolezza e nascondeva ciò che dentro sentiva essere tremendo e incomunicabile. Ciò che la signora Tod le aveva detto non poteva che rimanere nella sua testa tormentandola e seducendola a ogni istante per poi lasciar perdere rimandando il progetto. Allora io ero lì, sempre pronto, sempre discreto e delicato, entravo e uscivo da quell'essere fragile senza far rumore, i miei passi gentili e soffici s'innestavano soltanto laddove trovavano un po' di spazio, in angoli vuoti e bui della mente, in qualche pausa rubata tra un pensiero e un altro, in un interstizio dell'anima. La mia voce riusciva a intersecarsi elegante ed educata nella sospensione dagli affanni, nelle intercapedini dei supplizi. Ma il segreto di Maya avanzava e facendosi spazio dentro di lei ne sottraeva a me.»
Il racconto, insieme pietoso e fiero, di quel tragico amore procedeva senza sforzo, senza affanno, tutto scivolava liberamente dalla testa affollata di Apollineo fino alle labbra e agli orecchi vigili dei giovani oramai sedotti.«Restai solo, - riprese a raccontare Apollineo - ancora una volta senza la mia donna, e trovandomi in quello strano e suggestivo posto circondato soltanto da alberi e silenzi, mentre lei era in quella impenetrable casa, decisi di allontanarmi in fretta e di vagabondare nella notte cittadina alla ricerca di tutto quanto mi avrebbe fatto stare bene. Corsi verso la strada principale con la sensazione di avere qualcuno alle spalle, era un'atmosfera tutt'altro che pacifica: il buio, i cipressi scuri slanciati verso il cielo nero, i suoni di misteriosi animali notturni che a ogni passo mi spaventavano. Presi una carrozza che dopo pochi minuti passò di lì e mi diressi verso la città, in poco più di un'ora raggiunsi il luogo che forse più di tutti si addiceva al mio animo in quel momento. Il fiume. Il Tamigi. Bisognava senz'altro camminare per poter dar vita al fluire incondizionato dei pensieri che però non potevano più soltanto rimuginare vecchie sensazioni, c'era bisogno di andare oltre e ancora non sapevo dove fosse questo oltre, dove fosse il punto giusto in cui dirigere la mia natura per sperare un giorno di condividere la mia esistenza con Maya o allontanarmene per sempre. Camminavo, camminavo e intanto pensavo e parlavo da solo e prendevo decisioni che poi un attimo dopo avrei abbandonato: "Forse dovrei imparare a non chiederle più niente di lei e del suo mondo, forse dovrei capire che non posso seguirla ovunque. A volte mi sembra che laddove ci sono anch'io sia impossibile per lei attuare i suoi piani. Oh Maya, il successo dei tuoi progetti prevede inevitabilmente la separazione da me che ti amo così tanto!" Sospiravo, e pareva che la notte sospirasse per me, avrei voluto che il sole non sorgesse finché non avessi trovato una soluzione ai miei drammi. Perché lei era così distante? Perché non mi avvolgeva? Perché non poteva condividere con me pensieri e progetti? Continuando a macinare interrogativi destinati a restare sospesi e irrisolti, divorando strade e ponti e perdendo continuamente la consapevolezza di dove mi trovassi, osservavo le facce che incontravo, studiavo minuziosamente i gesti e le movenze di chi mi passava accanto e più di tutto cercavo di ascoltare i discorsi degli amanti. Progetti futuri, ricordi trascorsi, confessioni. Quanto era lontano il mondo reale da quello che io e Maya ci eravamo costruiti attorno e che ci inghiottiva creando incolmabili vuoti tra noi e il resto degli esseri umani.
In più di un' occasione quella sera mi fermai trascorrendo a volte minuti a volte anche ore ad approfondire conoscenze occasionali che qualche volta mi aiutavano, ma che per lo più mi deridevano in seguito a racconti che avrebbero fatto meglio a restare segreti. Un uomo mi fece compagnia, lo avevo incontrato passeggiando lungo il fiume, per uno strano caso ci eravamo guardati incrociandoci camminando in direzioni opposte e ci eravamo sorrisi. Quello sguardo, quell'espressione dolce e rassicurante, quasi familiare suscitò in me la voglia di invertire rotta pochi passi dopo essermi lasciato lo straniero alle spalle. L'impulso a confessarmi mi portò a cercare quell'insolita compagnia, mi voltai, accelerai il passo e riuscii ad avvicinarmi. Lo straniero non ebbe bisogno di ascoltare preamboli, il mio volto sconvolto, il colorito insano della mia pelle, gli occhi lucidi bagnati dal sentimento di resa e di rabbia che insieme avvilivano e sconvolgevano una mente ormai debole in un corpo ancora tanto agile e rigoglioso, gli fecero comprendere l'importanza di un ruolo che necessariamente doveva essere il suo seppure inaspettatamente. Ci sedemmo e l'imbarazzo in pochi attimi non era più lì, eravamo vicini, eravamo amici, eravamo sconosciuti l'uno all'altro e per questo, proprio per questo motivo, potevamo essere, paradossalmente, reciprocamente sinceri.
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Maya e Apollineo. Storia di un amore tragico
Historical FictionMaya e Apollineo - storia di un amore tragico affonda la propria radice nella filosofia di Friedrich Nietzsche e nell'opposizione tra la natura apollinea, razionale ed equilibrata e quella dionisiaca ebbra di vita e istintiva. Inghilterra di fine ot...