Capitolo 10

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    Erano trascorsi diversi anni da quando Apollineo vide Maya per l'ultima volta e da allora non aveva mai avuto il coraggio di ripercorrere tanto fedelmente e minuziosamente i ricordi che lo legavano a lei come invece stava facendo con Sotecra e Doinìs. Doveva essersi creata tra i tre una sintonia particolare che lo faceva stare a suo agio, tanto da permettergli di pronunciare più volte quel nome dolce e amaro che serbava la verità più dura e spaventosa dalla quale tutti fuggono. Ripercorreva a ritroso le tappe di un dolore che si era lentamente costruito e fortificato in profondità nel suo animo lasciando segni anche sul corpo ormai scarno e debilitato dagli anni trascorsi in solitudine. Riprendere in mano la sua immagine, stringerla forte al petto, annusarla, contemplarla e poi ancora sussurrarle parole dolci come se fosse tanto vicina da poterle sentire e arrivare al punto di udire una risposta ... Follia! Povero Apollineo, se un tempo poteva dirsi sostegno e conforto per la sua amata, ora al contrario rischiava d'impazzire al pensiero di non possederla più!

     Quel che restava della notte trascorse facendo posto alla luce del sole che s'infiltrava in ogni fessura della grande casa e come un antidoto, che si dirama veloce nel corpo avvelenato per purificarne il male, rischiarava tutto ciò che ancora restava in ombra. Al buio tutto appare sinistro e l'impossibilità di discernimento rafforza e nutre il mistero contribuendo a un incontrollabile stato di agitazione. Il sole, che dolcemente risvegliava gli ambienti ancora assonnati, svelava i colori sgargianti che la notte aveva nascosto gelosa avvolgendoli nell'indistinto del buio. I tendaggi bianchi, il grande tappeto orientale color del fuoco e dell'oro più brillanti, il nero lucido della grande scala e poi ancora le cornici in oro e in argento, le venature del pregiato mogano dell'orologio all'ingresso e del pianoforte nel salone, l'azzurro dei divani e il bianco accecante del pavimento. Così, quando gli ospiti di Doinìs lo raggiunsero in giardino per la colazione rimasero entrambi senza parole nell'ammirare la magnificenza di quegli ambienti che, grazie alla magia della luce, potevano finalmente far sfoggio di una incredibile varietà cromatica.

     Alla vista di quel parco incantato il professore e il suo studente rimasero sbalorditi, non credevano possibile che un solo uomo potesse avere a propria disposizione tanto spazio da rischiare durante una semplice passeggiata di perdervisi. Dopo aver sorseggiato del tè e mangiato qualche biscotto alla cannella il desiderio di smarrirsi tra quei viottoli fioriti si accese nel petto di Apollineo che, invitati i due giovani a seguirlo, chiese a Doinìs di illustrare e raccontare le varietà di fiori esotici che impreziosivano e coloravano il suo grande giardino. L'affascinante e vanitoso aristocratico immediatamente colse l'occasione per essere ancora una volta protagonista e cominciò, con generosità di dettagli, a descrivere le rarità floreali che possedeva e che erano tanto in voga in quel periodo. Dalle parole e dall'eccitamento di Doinìs si capiva che ognuna di quelle piante, ogni fiore, ogni foglia era fermo appiglio per spiriti vanitosi inclini alla più superficiale delle competizioni, quella dell'accumulo senza sosta e senza senso di simboli e segni distintivi di una superiorità, e quasi si direbbe prevaricazione, dell'uomo sull'uomo. Possedere, acquistare, accumulare solo per dimostrare di avere potere.

     «Vi propongo uno scambio, Doinìs, che sono sicuro non potrete rifiutare. Avendo l'inconfutabile certezza che voi e Sotecra non aspettiate altro che il prosieguo del mio racconto, ebbene vi chiedo di approfittare di qualche minuto della nostra passeggiata per narrarmi la storia di come questi fiori, dai petali carnosi e seducenti, siano giunti fino a voi. Che ne dite Doinìs, potete fare questo per me?»

     «Non posso che dirle di sì! Mi lusinga mostrando tanto interesse per il mio giardino visto che la maggior parte delle mie forze creative è stata impiegata per rendere questo luogo un paradiso incantato in cui querce secolari si alternano a sinfonie di fiori provenienti da terre lontanissime e inesplorate verso le quali soltanto pochi uomini coraggiosi hanno osato spingersi concedendo a noi, ricchi e oziosi, il privilegio di possedere ciò che altrimenti avremmo ignorato. Ah, mio caro Apollineo! Cosa ci saremmo perduti se non fosse stato per questi giovani e temerari esploratori di terre orientali! John Gibson è sicuramente colui che gode di maggior rispetto e ammirazione persino da parte della regina, oggi è un sessantenne stanco e noioso, ma un tempo era orgoglio della corona per i suoi incredibili viaggi intorno al mondo. Pensi, mio caro, che ha osato spingersi nelle terre più remote anche da solo, traendo forza e coraggio soltanto dal desiderio di scoperta che lo animava, al suo ritorno mostrava fiero esemplari di semi mai giunti fin qui e prometteva che una volta fioriti avrebbero lasciato tutti a bocca aperta per sgomento e meraviglia. E così fu! Lo spettacolo che le prime orchidee regalarono agli occhi di tanti inglesi increduli si ripeteva ogni qual volta egli ritornava in patria dopo lungo tempo portando con sé nuove varietà di quel fiore esotico. Bianche, viola, lilla, gialle, con striature o macchie, bicolori o monocromatiche erano tutte seducenti e meravigliosamente eleganti, e così tutti volevano averne nel proprio giardino e avrebbero dato qualunque somma di denaro per accaparrarsi la maggior quantità di semi. Mio padre, invece, ne amò soltanto una specie fin dal primo momento, il suo sguardo non ne vide altre, al cospetto dell'orchidea Vanda Cerulea ogni altra varietà sembrava essere insignificante. Il suo blu intenso tinge ogni angolo del giardino e la carne dei petali attraversata da striature talvolta più scure seduce il tatto, la vista, l'odorato. Dalla lontana Singapore è giunta fino alla dimora di mio padre dopo avventurosi e interminabili viaggi e io ne avrò sempre cura, ho ereditato questa passione e la antepongo a tutti i miei capricci. E adesso, mio caro amico Apollineo, non può più indugiare, parli la prego, perché non credo di esser capace di fingermi ancora paziente! Può, se ne ha voglia, raccontarci di Maya mentre seguitiamo la nostra passeggiata tra le orchidee in modo tale da esserne, nel medesimo istante, ammaliato e ispirato. Che ne pensa di questo compromesso?»

Maya e Apollineo. Storia di un amore tragicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora