Capitolo 5

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     Il sole illuminava tutt'intorno il cortile dell'Università, la giornata era eccezionalmente limpida e gli studenti colsero l'occasione per stare all'aria aperta e rigenerarsi dalle fatiche accademiche. Per trascorrere il tempo in tranquillità tra una lezione e l'altra qualcuno amava stare sdraiato all'ombra di un albero seguendo con lo sguardo il volo degli uccelli fatto di dolci virate e improvvise picchiate, altri invece mangiavano della frutta secca passeggiando tra i viottoli incorniciati da siepi elegantemente curate da mani esperte e mente artistica, altri ancora poi approfittavano del tempo a disposizione per approfondire la lettura di un testo o per scambiare gli appunti presi in aula. Il fermento culturale prendeva ancora più vigore nei momenti di pausa e svago tra i giardini, la personalità di ognuno conferiva allo studio una creatività che nelle aule interne non si era soliti percepire. I professori erano soliti riunirsi presso un gazebo dall'aria fiabesca posto proprio al centro del parco, lavorato in ferro bianco e su cui cresceva rigoglioso e selvaggio un roseto rampicante. La struttura era sormontata da una cupola verde smeraldo il cui stile arabeggiante ricordava luoghi lontani descritti nei diari di viaggio di qualche esploratore e la lavorazione floreale dei cancelli perimetrali si confondeva e si univa alle rose e alle spine che le crescevano intorno e dentro. In questa splendida giornata soleggiata Apollineo proprio non sentiva l'esigenza di unirsi ai suoi colleghi accademici con cui era solito discorrere di programmi di studio, di nuovi testi da adottare o soltanto degli ultimi avvenimenti verificatisi in città. Questa volta preferì isolarsi e senza che nessuno se ne accorgesse, con la cartella marrone di pelle sotto il braccio sinistro, si avviò verso un grande e maestoso olmo che si trovava al limite estremo tra il parco e il fitto bosco.

    Proprio lì dove le passeggiate degli altri non si spingevano, in un'area tranquilla e isolata in cui non sostavano solitamente né professori né tanto meno studenti, proprio in quel posto appartato e adatto alla riflessione e alla pausa solitaria Apollineo decise di restare solo con i suoi ricordi. Le voci dei giovani affaccendati tra gli appunti da decifrare, gli spuntini di mezza mattinata e le chiacchiere che si fanno di solito tra amici, sembravano disturbare la necessità che il giovane professore aveva di ascoltare la natura intorno. Niente, a parte i rumori del bosco, avrebbe potuto accompagnare con maggiore appropriatezza i pensieri che a forza spingevano il meccanismo dei rimpianti affinché cominciasse a funzionare. Sarebbe stato meglio lasciarsi convincere a raggiungere gli altri e farsi coinvolgere nelle solite e appassionate dissertazioni quotidiane approfittando così di una distrazione che non avrebbe potuto essere che benefica e distensiva, piuttosto che sfuggire alla presa degli sguardi amici, cui faceva finta di non aver fatto caso, per rimanere da solo. È pur vero però che se la gioia non è reale se non è condivisa, bisognerà ammettere che il dolore e la malinconia necessitano, senza ombra di dubbio, della solitudine. Trascorse circa un'ora dacché Apollineo si era defilato da tutto e giaceva supino con lo sguardo che inconsapevole accarezzava i rami e le foglie e il tronco robusto del maestoso albero, aveva ripercorso a grandi linee e con sbalzi temporali amplissimi ore, giorni e anni in cui aveva potuto condividere la sua vita con Maya. Era vero, proprio come aveva detto a un suo studente poco prima in aula, la conosceva da sempre e la possedeva da mai.

     Ancora bambini giocavano a rincorrersi attraverso campi e boschi ora nascondendosi l'uno all'altro, ora aiutandosi a superare pericoli e ostacoli improvvisi, poi affannati dalle lunghe corse si tuffavano nel fiume che scorreva poco distante dalle abitazioni e lasciandosi trasportare dalla corrente giungevano fino in fondo alla valle abitata restando a mollo in un piccolo bacino in cui l'acqua riposava prima di proseguire la corsa. Soltanto quando la sensazione di caldo che li stava sfinendo si dileguava lasciando posto ai tremori del freddo, allora si decidevano ad uscire dall'acqua e a correre verso casa incontro alla solita, e ragionevolmente inevitabile, reazione irata di coloro che in pena li aspettavano e alla punizione che avrebbero ricevuto. Erano stati molto simili da bambini, il loro temperamento, le abitudini che condividevano, i giochi che amavano di più, le avventure e poi ancora i nascondigli segreti, le fughe frequenti nelle campagne limitrofe, tutto li accomunava e tutto ciò che uno amava amava l'altro. Fu un idillio almeno fino a quando Maya compì tredici anni e restò sola. Contrariamente ad Apollineo che viveva in casa con i suoi genitori e la sorella maggiore, lei abitava soltanto con un fratello di otto anni più grande che, nonostante l'amasse e avesse fatto quanto in suo potere per educarla e crescerla sana e forte, decise un giorno di partire, lasciando la casa, il paese, le sue cose e Maya senza spiegazioni, senza motivo. A quell'età, così giovane e sola la paura cominciò a divorarle il petto fin dal primo istante in cui si rese conto di essere stata abbandonata, il terrore e l'impotenza fecero subito posto alla consapevolezza, in un attimo Maya capì che non poteva più essere una bambina come tutte le altre, né restare lì in quella casa da sola, perché le autorità non glielo avrebbero permesso. Di certo una volta appreso che in quel posto una bambina viveva senza famiglia l'avrebbero condotta in un orfanotrofio o in un istituto di monache e allora decise di partire. Sola. Tutto ciò che lasciò dietro di sé era proprio quello da cui doveva fuggire, la campagna, i ricordi, gli affetti, i giochi, i luoghi familiari, tutto doveva far parte di un mondo lasciato alle spalle e che non poteva più essere il suo visto che oramai anche l'amato fratello l'aveva abbandonata. I genitori poi non li aveva mai conosciuti, o almeno non ne aveva ricordo dato che, dopo poche settimane dalla sua nascita, si erano messi in viaggio per una tournée come artisti di strada tra l'illusionismo fraudolento del padre e i facili costumi della madre. Evidentemente gli affari loschi di uno e i servizi resi dell'altra dovevano andare piuttosto bene visto che non fecero più ritorno! Di sicuro il carattere della bambina fu profondamente segnato dagli avvenimenti che avevano caratterizzato la sua infanzia e nonostante le cure del fratello, che adesso aveva inspiegabilmente deciso di lasciarla, un equilibrio Maya non lo aveva mai avuto e di sicuro non sapeva neanche cercarlo. Lasciò, poco prima di andar via, nella corteccia di un albero segnato, che entrambi sapevano riconoscere, una lettera per Apollineo.

Maya e Apollineo. Storia di un amore tragicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora