1. Affari di famiglia

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Nathan

Erano passati esattamente dieci anni da quando avevo lasciato la villa di mio padre e non vedevo mio fratello, Ethan.

Da allora avevo iniziato a vagare per le strade di New York, con il borsone pieno delle mie cose, in cerca di un qualcosa che potesse permettermi di trovare il mio posto nel mondo ed era proprio in uno dei quartieri residenziali di Brooklyn, che l'avevo trovato.
Il primo posto in cui avevo deciso di recarmi, per cominciare a vivere la mia vita, era proprio il quartiere in cui viveva mio cugino, Adam. Suo padre, nonché fratello di mia madre, non aveva avuto la fortuna di essere ricco o di diventarlo e così lavorava come un umile operaio in una delle tante officine che si trovavano nei quartieri più pericolosi di Brighton Beach, denominati "quartieri russi" e aveva iniziato suo figlio al suo stesso lavoro all'età di sedici anni, diventando già un piccolo ladruncolo.
Proprio per questo, mi ero rivolto a lui per farmi un'idea di come fosse vivere in quartieri così, senza i fronzoli e la noiosa vita perfetta dei ricconi.
La prima sera, mi aveva portato in una bisca clandestina, dove degli uomini a caso si gettavano al centro della mischia e iniziavano a menarsi per il solo gusto di soddisfare le richieste della gente di vedere sudore, misto a sangue, schizzare sul terreno e in cambio, si accaparravano i soldi delle vincite.
Quello che per altri poteva somigliare a un divertimento, per me cominciava a sembrare un ottimo modo per sfogare la rabbia repressa negli anni, dove avevo dovuto subire gli ordini di mio padre.
Un giorno avevo chiesto a mio cugino di aiutarmi ad allenare per mettere su un po' di muscoli e imparare così a lottare, scoprendo delle mosse e delle tattiche che avrei potuto usare a mio favore per mandare gli avversari KO.

Un giorno avevo chiesto a mio cugino di aiutarmi ad allenare per mettere su un po' di muscoli e imparare così a lottare, scoprendo delle mosse e delle tattiche che avrei potuto usare a mio favore per mandare gli avversari KO

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Cominciai così ad essere io quello che, colto da un'improvvisa scarica di adrenalina, si gettava al centro della folla, circondato da uomini e donne, e iniziava a fare a pugni. Per loro, soprattutto le donne, guardarmi combattere con dei semplici pantaloni e il petto nudo, imperlato di sudore, era divertente ed eccitante. Per me, invece, era una vera e propria sensazione di libertà, perché riuscivo a esprimere con i pugni e la mia forza, tutta la rabbia e il risentimento che provavo per le persone ricche e lussuriose che, con i soldi potevano permettersi ogni capriccio. Proprio per questo, mi ero fatto tatuare una bussola con al centro un uccello sul pettorale sinistro, perché rispecchiava quello che finalmente ero diventato, libero come un uccello in volo e sempre in giro, come una bussola.
Ero diventato così bravo da essermi guadagnato la nomea di "campione" tra la folla e ogni giorno diventavo sempre più richiesto per i combattimenti, che mi stavano permettendo di racimolare un po' di soldi per aiutare mio cugino e i miei zii nelle spese. Vivevo nel piccolo bilocale che Adam aveva comprato nello stesso palazzo, in cui vivevano anche i suoi genitori.
Tutte le mattine, insieme a lui, mi recavo in una palestra lì vicino e mi allenavo. Ed era stata proprio in una di quelle occasioni che un uomo, vestito di tutto punto, mi aveva cercato dicendomi che mi sarei dovuto recare alla Miller's Enterprise, perché mio padre doveva discutere di alcuni affari di famiglia.

Ed era proprio per questo che, adesso, mi trovavo nell'edificio in cui c'erano i vari uffici di marketing della grande azienda di Jonathan Miller, mio padre.
Ero stato accolto da una delle sue receptionist che, non appena mi aveva visto, aveva cominciato a squadrarmi da capo a piedi. Indossavo un pantalone nero, una camicia bianca e una giacca di pelle marrone. I lunghi capelli neri erano raccolti in uno chignon alto e la barba era ben curata.
Gli occhi della donna, indugiarono principalmente sulla camicia, leggermente aperta, da cui si intravedeva il petto asciutto e scolpito. Poi, saettarono in alto, concentrandosi sui miei occhi scuri. Le sue guance si colorarono di rosso e con mano tremante, mi indicò gentilmente di aspettare la chiamata di mio padre.
Mi voltai, sbuffando e mi appoggiai con la schiena al muro, in attesa.
Ero sicuro che mio padre stesse aspettando anche l'arrivo di mio fratello e se, da un lato ero nervoso per essere stato riportato qui, dall'altro ero entusiasta all'idea di rivedere Ethan.
Scoprire com'era diventato alla soglia dei suoi trentacinque anni, visto lo smodato uso di droga e i cinque anni passati in carcere.
Fortunatamente Adam, lo incontrava spesso prima che finisse in prigione con l'accusa di tentato stupro. Si era volutamente preso la colpa, per salvarlo da una vita che avrebbe speso all'interno di un riformatorio.
Tutto questo, lo avevo saputo da lui che lo incontrava spesso nell'officina in cui lavorava con suo padre.
Mi stavo spazientendo, incrociai le braccia al petto e nel farlo, i miei bicipiti si tesero facendo stridere il tessuto di pelle della giacca.
La donna tornò a fissarmi ancora una volta, il suo sguardo era un misto di eccitazione e desiderio.
Distolsi lo sguardo dalla sua bocca dipinta di rosso e fissai il mio riflesso sul grande vetro di un finestrone.
Per quanto potessi avere i capelli lunghi e la barba, cercando di essere l'uomo ribelle che ero diventato, somigliavo a mio padre quando aveva la mia stessa età, trent'anni. L'unica cosa che avevo ripreso da mia madre, era il carattere remissivo che avevo imparato a smussare con il pugilato.
La porta si aprì di scatto e portai lo sguardo dritto davanti a me.

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