Nella vita si dice che non tutto è bianco o nero, si dice che le sfumature esistono e che questo sia un bene, si dice che sarebbe noiosa una separazione così netta e forse è la verità, ho sempre pensato, però, che nonostante sia noiosa questa differenza è reale.
Il bianco e il nero esistono molto più di quanto esistano le sfumature, per quanto ci sforziamo di vederla in modo diverso la maggior parte delle scelte che facciamo non sono mai un compromesso e per la vita che viviamo vale lo stesso discorso. Discorso forte e non del tutto comprensibile, forse, ma è un pensiero che si è accentuato da quando ho messo piede in questo villaggio.
Vivere nella periferia di Roma con una madre che fatica a mantenervi entrambi ti porta a fare delle scelte nella vita, come sacrificare l'estate della maturità per lavorare. Non esisteva una via di mezzo per me, o questo o finire sotto un ponte.
O il bianco o il nero.
Ironico anche il fatto che io sia finito a lavorare in questo posto, dove la periferia non è vista altro che come un posto da evitare da persone che si fanno servire da me senza neanche avere la decenza di spostare un braccio dal tavolo al mio arrivo.
Ricconi, direbbe mia madre.
Teste di cazzo, dico io.
Teste di cazzo e poveracci.
Il bianco e il nero.
Qualsiasi cosa abbia fatto parte della mia vita non è mai stata una sfumatura, ergo, io stesso non sono una sfumatura. Io sono il nero più puro che c'è, incontaminato.
Questi pensieri si fanno largo in modo insistente mentre io, chiuso nelle vetrate del ristorante, preparo i tavoli osservando le persone all'esterno che vagano da un punto all'altro del villaggio. L'unica consapevolezza che ho è che io non sarò mai bianco come loro, né tantomeno può esistere una sfumatura che unisca due poli così opposti.
«quanto te fissi così sembri matto»
La voce di Chicca mi costringe a spostare lo sguardo da un gruppo di anziani seduti poco lontani dal ristorante, ha le sopracciglia alzate ma so che di accusatorio non hanno nulla. Spesso si è trovata a riportarmi alla realtà quando tendevo a perdermi nei miei pensieri ed è una cosa talmente frequente che ormai viene fatta con naturalezza da parte sua.
«ma a te non te fa strano pensa' che questi c'hanno 'n botto de soldi e noi stamo qua a lavora' pe loro pe guadagna' 'na miseria?» Chicca ride e nel farlo mi allunga una pila di piatti presa dal carrello che afferro con fare distratto, posandola subito dopo su un tavolo vicino a me.
«non me fa strano Ma', funziona così, non potemo esse tutti ricchi» dice, posando una forchetta su un tovagliolo di stoffa bianco candido. «e se non inizi a apparecchia' non guadagnerai manco 'sta miseria»
Ridacchio mentre la guardo spostarsi di posto in posto per sistemare le posate ed inizio a darle una mano sistemando i piatti ma compiendo movimenti decisamente più lenti rispetto ai suoi. È una routine che va avanti ormai da un mese e qualche giorno, ogni giorno sempre uguale, stessi movimenti, stesse persone scialbe intorno, stessi orari. Niente spezza la monotonia, inizialmente lo facevano le passeggiate in spiaggia dopo il turno di lavoro, ma dopo un mese sono entrate a far parte della routine anch'esse e mi sono arreso al fatto che sarebbe continuata così fino alla fine della stagione.
«non so manco persone interessanti» riprendo a parlare come se il discorso non fosse mai stato interrotto. «fossero almeno interessanti sarebbe più piacevole» Chicca sembra quasi non sentirmi, fatta eccezione per gli occhi che si alzano al cielo mentre i movimenti continuano in modo meccanico.
«te manco ce provi a parla' co tutte ste persone»
«per dì che? Che posso avecce in comune co ste persone?» chiedo e, anche se non sembra, la mia è una domanda reale perché davvero non vedo spunti per una conversazione con gente simile, talmente diversa da me da non notare nemmeno la mia presenza quando siamo nella stessa stanza.
«che ne so, è pieno de ragazzi io ogni tanto una chiacchierata me la faccio, te li demonizzi troppo»
