Fare ritardo è decisamente una delle mie caratteristiche più note alle persone che mi circondano. Chiunque vicino a me è abituato ad aspettarmi almeno una decina di minuti, qualsiasi professore alle superiori era abituato a vedermi arrivare con almeno un quarto d'ora di ritardo, l'unico posto in cui non avevo mai, e sottolineo mai, fatto tardi era il posto di lavoro.
Si dice che quando inizi una giornata nel modo sbagliato non c'è verso di cambiare le cose e se queste dicerie sono vere posso liberamente ammettere di essere preoccupato per la giornata di merda che mi aspetta.
Tutto ha avuto inizio quando, aprendo gli occhi, mi sono reso conto di aver oltrepassato la sveglia di mezz'ora, da lì è stato un tracollo continuo con diversi passaggi della routine saltati ed un nervosismo visibile a chiunque mi incontrasse.
Mi ritrovo a correre mentre con una mano tengo una crostatina confezionata, destinata ad essere il mio unico sostentamento fino ad ora di pranzo e, col senno di poi, forse avrei dovuto davvero dare ascolto alle dicerie facendo le cose con calma, perché il pezzo di cioccolato che cade sulla mia camicia bianca era alquanto prevedibile.
Mi fermo al centro del viale fissando la macchia evidente sul petto e dopo essermi reso conto di non poterci fare assolutamente niente chiudo gli occhi inspirando dal naso.
Menuel se non te calmi te viene un infarto, mi dico, ma la verità è che al momento qualsiasi cosa sarebbe meglio di presentarsi a lavoro con la camicia sporca o anche solo continuare a vivere quella giornata.
«buongiorno?» la tua voce arriva interrogativa mentre con gli occhi ancora chiusi prendo l'ennesimo respiro profondo.
«buongiorno un cazzo» rispondo.Appena apro gli occhi ti trovo affianco a me con la fronte aggrottata e imperlata di sudore, non ci metto molto a capire che hai appena terminato di correre e se non fossi così nervoso probabilmente farei più attenzione al fisico tirato sotto quel completo ginnico, ma riesco solo a pensare che tu hai anche il tempo di fare attività alle 6.30 di mattina mentre io sto facendo un ritardo imbarazzante a lavoro per colpa di una crostatina al cioccolato.
«scusa» mormoro passando una mano sul viso. «è che sto in ritardo e- sta cazzo de crostatina, c'ho la camera in culo al mondo non me posso cambia' e-» il mio sfogo pietoso viene interrotto proprio da te che non hai smesso un attimo di fissarmi perplesso. Alzi l'indice verso una porta poco distante da noi e alzi le spalle.
«è camera mia, ti dò una camicia»Apro leggermente la bocca sorpreso della naturalezza con cui pronunci quella frase, la richiudo subito dopo osservando il tuo viso sereno ed indugio un po' troppo probabilmente, perché dopo pochi istanti alzi le sopracciglia aspettando una risposta.
«ah»
È l'unica cosa che esce dalle mie labbra e tu sorridi sorpassandomi ed infilando una mano nella tasca dei pantaloncini per estrarre la chiave. Ora che sono dietro di te posso permettermi di osservare le spalle larghe e lucide di sudore coperte solo da una canotta nera ed è strano il fatto che io ti veda tutto il giorno in costume ma non riesca a staccare gli occhi da quest'immagine ora.
Apri la porta in silenzio e il tuo profumo è la prima cosa che noto appena entro, mi guardo intorno trovando la tua valigia aperta da un lato e il letto stropicciato dall'altro. È decisamente diversa dalla mia, che all'interno ha anche una cucina, ma comunque sa più di casa questa che quella in cui vivo da un mese.
Ti guardo mentre ti muovi verso l'armadio e ne estrai una camicia bianca, sbuffo una leggera risata in totale contrasto con il mio umore attuale e tu mi guardi confuso.
«che è?»
«ma quante camicie c'hai Simò?» alzi gli occhi al cielo.
«la vuoi o no?» rido ancora annuendo e tu la poggi sul letto mentre io inizio a sbottonare quella che indosso.