Siamo come giornate buttate al cesso
Come i sorrisi spenti, in mezzo ai denti, a tempo perso.Un'altra cosa che mette a dura prova la mia sanità mentale in questo lavoro è che io, come anche Chicca, non ho la possibilità di tornare a casa a fine turno. Casa è a Roma, il villaggio è in Calabria, questo comporta il fatto che io abbia una mia stanza all'interno della struttura.
Stanza che da più di un mese è casa, ma che di casa non ha nulla.
In poche parole è come se non staccassi mai perché anche quando esco da lavoro rimango qui ed è forse l'aspetto peggiore di tutta questa situazione.
E lo sento questo peso ora, mentre sono sdraiato sul mio letto in questa stanza vuota. L'odore della bacinella vicino a me riempie tutto l'ambiente e ne osservo la camicia all'interno, immersa in un miscuglio che mia madre ha tenuto ad insegnarmi prima di farmi partire da solo perché "mica ce sto io a smacchiatte le cose che zozzi". Ed è vero, lei non c'è e la sua mancanza si sente, ma spero che i suoi insegnamenti funzionino come hanno funzionato fino ad ora.
Immergo per la quarta volta le mani nell'acqua ed afferro la camicia strofinandola per un'ultima volta prima di tirarla fuori e strizzarla, la rigiro tra le mani per osservarla bene e sorprendentemente tutte le macchie sembrano essere sparite lasciando di nuovo spazio ad un bianco candido. Sorrido soddisfatto e la sistemo sullo stendino vicino alla mia, notando la netta differenza di grandezza, plausibile vista l'altezza e le spalle larghe di Simone.
Mi affretto a prendere il telefono per scattare una foto ed inviarla a Chicca digitando rapidamente "poveracci 1 ricconi 0", messaggio alla quale lei risponde con un semplice "cretino". Ridacchio prima di sdraiarmi nuovamente sul letto e lasciare che il sonno abbia la meglio su di me, rimprendendosi le ore che il turno della mattina gli aveva tolto.
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Il villaggio stasera è particolarmente movimento e l'unica spiegazione logica che riesco a darmi è che sia stato organizzato qualcosa di interessante da parte dell'animazione. Cammino in modo tranquillo mentre, appesta al braccio, tengo la camicia di Simone leggermente stropicciata, me la sono portata dietro con l'intento di restituirla ma la verità è che non ho la più pallida idea di dove trovarlo.
Osservo le persone intorno a me con la speranza di vederti e mostrarti al più presto che un casino fatto da te, era stato risolto da me, ma in mezzo a tutte quelle persone sembri non esserci, quindi l'unica soluzione che ho è quella di avviarmi verso un punto ben preciso, poggiandomi al bancone davanti a Laura.
«me sai trová un cliente senza il cognome?» lo sguardo perplesso che mi rivolge la ragazza potrebbe essere abbastanza comprensibile vista la situazione, ma non ho intenzione di girare con una camicia appesa al braccio ancora per molto.
«ciao anche a te, Manuel, come pretendi che trovi un cliente se non ho nome e cognome?»
«che ne so, è tipo l'unico ragazzo in sto villaggio de vecchi, magari te lo ricordi» Laura continua a guardarmi poco convinta ma nel silenzio di quella hall si posiziona comunque davanti al computer.
«a che ti serve?»
«gli devo ridá questa» dico, alzando il braccio per mostrare la camicia. A quel gesto ne segue un silenzio strano che non riesco ad interpretare finché lei non riprende la parola con un tono più basso.
«lo sai che non puoi avere rapporti con i clienti, Manuel»Ed in quel momento capisco che la situazione, agli occhi esterni, non rispecchi proprio la realtà. Ho in mano la camicia di un tizio di cui non so il cognome e lo sto cercando in modo insistente di sera con la reception vuota, no, decisamente non rispecchia la realtà.
«ma che cazzo pensi Lá? Gliel'ho sporcata al ristorante, cioè no l'ha sporcata lui, nel senso- vabbè comunque gliel'ho lavata, mica me lo so scopato» dal suo sguardo si vede che quella spiegazione non la convince del tutto ma io non ho la forza adatta per combattere anche con lei, quindi mi limito ad alzare gli occhi al cielo. «si chiama Simone» dico.