Capitolo II - La Morte, Due Volte

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Capitolo II - La Morte, Due Volte

Capitolo II - La Morte, Due Volte

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Ha la sensazione di non ricordare neppure cosa significhi respirare aria non rarefatta e tossica e, quando ha aperto gli occhi con i polmoni bloccati da una paralisi che lo ha fatto annaspare disperatamente ossigeno, con le dita strette intorno al lenzuolo, Eddie Munson si è reso conto di non essere a casa sua – no, quel posto gli somiglia, certo, è solo più oscuro, privo di colori, molto più di quanto non lo sarebbe il suo caravan – ma ancora lì sotto, nella Hawkins capovolta piena di mostri e altre stronzate che, fino a qualche giorno fa, avrebbe creduto possibili solo durante una partita di D&D.

Si stringe una mano intorno alla maglietta e la sua bocca reclama ancora aria, che ingoia a veloci bocconi e inizia a girargli la testa. Nell'aria volano particelle bianche che sembrano fiocchi di neve, ma ha imparato a sue spese che non sono quello di cui si tratta. Ignora ancora cosa siano, ma forse è meglio così. Guarda alla sua sinistra. Sembra la sua camera, in disordine come l'ha lasciata di sopra ma, i vari rami che la avvolgono, la mostrano solo più inquietante e meno rassicurante di quanto già non fosse nella sua versione originale.

Sembra quasi che non gli appartenga affatto. Non sa di casa.

Cerca di alzarsi a sedere sul letto ma la schiena gli pare pesare come un masso. Riesce a muovere solo la testa, la alza leggermente, quel tanto che gli permette di guardarsi le gambe: sono coperte dai pantaloni, ma anche di sangue incrostato e vecchio; i jeans sono strappati in più punti, dove croste ormai dure fanno capolino. Gli sale un conato di vomito. Gli si blocca un battito al cuore e vorrebbe urlare. Vorrebbe farlo, ma è ancora abbastanza lucido da ricordare che, anche solo il minimo rumore, può ucciderlo sul serio, stavolta.

Patetico. Come se avessi qualche possibilità di tornare sopra, nelle condizioni in cui sono.

Rigetta la testa sul cuscino, e si sfrega le mani sulla faccia, trattenendo un grugnito frustrato e tenta inutilmente di gestire il principio di un attacco di panico che già gli pesa sul petto e gli mozza il respiro.

Gira il viso verso destra e, accanto a lui, la sua chitarra giace silenziosa e solenne, ed è la sua unica compagna in quel posto che lo ha inghiottito in un solo, lento e dolorosissimo boccone.

L'ultimo ricordo che ha è quello di Dustin che lo tiene tra le braccia, e lui che sente le forze pian piano sparire dai suoi muscoli, e dai suoi respiri. Per un attimo ha capito di essere così vicino alla morte, perché tutta l'energia possibile l'ha incanalata nella gola, solo per lasciare il suo testamento verbale a Henderson, sebbene fosse l'ultima cosa – l'ultimo torto che avrebbe voluto fare a quel ragazzo: spezzargli il cuore, lasciare che lo vedesse morire tenendogli la mano, distruggerlo e continuare a vivere con quel ricordo.

Non voleva in alcun modo che Dustin fosse lì, in quel momento eppure, quando lo ha visto arrivare, ha provato una sorta di ingestibile sollievo. Non è morto da solo come aveva sempre pensato, alla fine.

Perché sì, anche se ha aperto gli occhi e sente di non poter muovere un solo muscolo, come se fosse paralizzato dal collo in giù, Eddie non si sente per niente vivo. Anche se respira di nuovo, come se stesse smaltendo il veleno dei demo-bats che lo hanno divorato, sa che non potrà mai più tornare su. Non in quelle condizioni. Non può muoversi, non può contattare nessuno, non è in grado di pensare, non può elaborare un piano – uno dei suoi folli piani. Può solo aspettare di morire, stavolta per davvero, e pensare a tutto quello che è successo, in attesa che quel posto lo uccida di nuovo.

Se succederà, spera solo non per mano di Vecna, o – Dio, sarebbe orribile, e inutilmente doloroso e... questa volta sarebbe in solitudine; senza Dustin, senza Robin e Nancy o Steve.

Cristo, Steve.

Gli ha promesso che non avrebbe fatto l'eroe – che gli avrebbe lasciato quel ruolo volentieri e ora non sa nemmeno se Harrington è vivo, se l'hanno scampata, se Vecna è morto e, soprattutto, se sono riusciti a salvare Max. Non sa se sono ancora lì, e la migliore delle ipotesi è che siano riversi a terra senza vita nella villa dei Creel, perché alla fine il male ha vinto. Non sa se sono sopravvissuti anche loro, non sa se il suo sacrificio è servito a qualcosa e, soprattutto, non sa cosa fare ora.

Si toglie le mani dalla faccia e guarda il soffitto. Sente freddo, i suoi vestiti sono umidi, l'aria è sempre più rarefatta. Gli viene da vomitare.

Gli tremano le dita, che incrocia sul petto, e decide che non c'è niente che possa fare.

A parte una cosa: cantare.

Così inizia a farlo, e quasi sussulta al suono della propria voce arrochita che, tremante, rompe il silenzio. Non la riconosce quasi e questo lo spaventa.

Gli salgono i succhi gastrici fino in gola, avverte il bruciore sotto la lingua dell'acido cloridrico, che è quasi più fastidioso della paralisi. È prigioniero del proprio corpo e tutto ciò che può fare è solo fingere di non essere lì, ma altrove, e attendere che quel posto, stavolta, lo inghiotta nella sua agghiacciante solitudine e distruzione.

«♪ C-come crawling fast-er... O-o-o-obey your ma-ster... Your l--ife bur-ns faster.♫»

Spera solo che gli altri stiano bene, è l'unica cosa che conta, ormai. Intanto continua a cantare, perché non sa davvero cos'altro potrebbe fare.

Si sente patetico, ma troppo attaccato alla vita per smettere di crederci davvero. Solo che, persino il suo indistruttibile ottimismo ora ha una crepa che gli ha strappato via ogni speranza. 

Fine Capitolo II


Note autore:
Questo capitolo è un po' corto, lo so, infatti ho deciso che venerdì pubblicherò anche il terzo ♥
Grazie a chi sta seguendo questa storia ♥

La vostra amichevole Miryel di quartiere.


L'ultimo Giorno Dell'Umanità [ Steddie - Steve x Eddie - Stranger Things 4 ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora