Capitolo Uno. 7 Luglio 1950

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Strana è la vita. Strani sono i sentimenti.
O forse strane sono le persone a non comprendere che quest’ultimi sono tutt’altro che strani, ma anzi, sono l’unica cosa vera di cui siamo in possesso.

È invece curioso come la vita sia in grado di sorprendere e prendere impreparato qualsiasi persona quando meno l’aspetti, quando tutto sembra tranquillo succede improvvisamente qualcosa che sconvolgerà tutto il tuo mondo.

Si vive nella costante monotonia che a volte è la vita, e sia ben chiaro, alle persone sta più che bene così, perché tutto è in ordine, tutto è come è sempre stato, come pensa Clelia; lei si aggrappa con tutte le sue forze a quelle che poi sono diventate abitudini, come per esempio svegliarsi presto la mattina e pulire la casa, preparare la colazione per i propri fratelli e suo padre o nascondere il suo libro preferito sotto il cuscino prima di rifare il letto, per timore che uno dei suoi fratelli, o peggio sua madre, lo prendesse per accenderci un bel fuoco.

Oggi, però, vorrebbe che questa monotonia non esistesse, così da rimanere nascosta sotto le soffici lenzuola con in capelli che le coprono il viso e riscaldano le sue guance dall’umidità mattutina.

Pochi minuti prima, Clelia e sua sorella maggiore Maria, sonnecchiavano tranquille nel loro unico e grande letto, finché la madre non è piombata nella piccola e spoglia stanza urlando a pieni polmoni e con un forte accento napoletano: “ma quando avete intenzione di alzarvi da quel letto?”, dopodiché si è avvicinata alla finestra battendo rumorosamente con le sue vecchie scarpe marroni sull’antiquato pavimento di legno, e con un sordo rumore l’ha spalancata facendo entrare l’aria fresca di prima mattina e un caldo e vivido sole estivo appena accennato che illumina il viso delle due ragazze.

Clelia e sua sorella si coprono d’istinto gli occhi dall’accecante luce e, controvoglia, si alzano dal letto iniziando una gara di sbadigli; se da qualche parte nel mondo ci fosse un premio dato allo sbadiglio più lungo e rumoroso, Clelia è sicura di poterlo vincere a pieni voti.

“Buongiorno” dicono in contemporanea mentre la madre si è precipitata a sfilare il lenzuolo che le copriva.
“Certo che è una buona giornata!” esclama lei con abbastanza empatia e con le occhiaie nere come zoccoli di cavallo sotto gli occhi.

Clelia sa benissimo cosa intende dire con questa frase, erano settimane che l’aspettava con impazienza. “Oggi è il compleanno della nostra Clelia, diciassette anni” continua con nostalgia, abbassando lo sguardo verso le tasche del suo grembiule, ci infila la mano prendendo qualcosa e glielo porge. “Diciassette, comm a’ scarògna. È pe’ maluocchie, tiè” dice.

Con un sospiro, che somiglia più a un piccolo sbuffo, afferra l’oggetto rosso che in casa Cirillo non deve mai mancare uno in ogni stanza, persino nel bagno se ne trovano.

Carmela Cirillo è convinta che il corno portafortuna porti davvero fortuna a chi lo indossa o a chi lo stringe sempre tra le proprie mani, peccato che sua figlia non creda né alla fortuna né alla sfortuna. Ma crede nel destino; pensa che se una cosa debba succedere, accade per via del destino, e non per un amuleto. Ma ignorando la voce interiore contraria, la festeggiata osserva il portafortuna con un gran falso sorriso e ringrazia sua madre, troppo giovane per contraddirla dalle sue credenze.

“Mamma! Non metterle queste cose in testa. È ancora una bambina” la rimprovera però Maria; lei è un’adulta e quindi  non le dà fastidio che parli così.

“Marì, ricorda che i vecchi detti non falliscono mai” risponde lei con i suoi paraocchi.

Clelia stringe il portafortuna tra le sue mani sperando che almeno questa giornata Carmela risparmi loro di farle spaccare le mani e la schiena con le faccende domestiche, ma purtroppo deve ricredersi.

“Adesso pulite tutto. Voglio vedere tutti i letti fatti e le lenzuola pulite, quando avrete finito io e vostro padre vi porteremo a fare una passeggiata sul lungo mare di Margellina” si avvicina di più e abbraccia teneramente la sua bambina “tanti auguri, picceré”.

Le ragazze osservano sbalordite la madre che esce dalla camera con le lenzuola sotto ad un braccio e si dirige al bagno posto affianco alla stanza; entrambe si voltiano a fissarsi con occhi stupefatti e impazienti, Maria sorride alla sorella e le fa un occhiolino, e invece di perdersi in stupide chiacchiere che le farebbero solo perdere tempo, iniziano a pulire e sistemare, in totale silenzio.

Poco dopo le ragazze sentono la loro madre svegliare i due fratelli, Vincenzo e Giuseppe, dalle stesse urla stonate e dagli stessi passi rimbombanti che hanno svegliato loro due pochi minuti fa; l’unica differenza tra loro è che Clelia e Maria si sono alzate subito, mentre i ragazzi mugugnano strane frasi assonnate, cosa che fa infuriare la donna e così li minaccia di svegliarli con un secchio d’acqua gelida; per quanto quel suo tono di voce suonasse minaccioso, sono tutti sicuri che non lo farebbe mai, altrimenti dovrebbe pulire un bel casino.

“Muovetevi a lavarvi e vestirvi, le vostre sorelle devono pulire e voi dovete andare a lavoro” dice Carmela con tono preponderante “fate gli auguri a Clelia, oggi compie gli anni” dice frettolosa ed esce dalla stanza dei ragazzi dopo aver spalancato anche la loro finestra.

Sentono Giuseppe, il fratello maggiore, parlare con voce assonnata mentre si alza dal letto facendolo scricchiolare malamente.

“Quanti anni compie?” chiede con voce assonnata, “è nata nel ’33, quindi…” continua mentre cerca di fare dei calcoli a mente senza riuscirci. Dopo svariati tentativi decide di lasciar perdere, dà un’occhiata stizzita a suo fratello e sbotta: “Vincè, tu tien a’ cerevéll quadrat, quanti anni compie?” chiede nuovamente con impazienza.

Maria lancia a sua sorella un’occhiata divertita, ma entrambe ascoltano il dialogo dei fratelli senza fiatare.

Sentono Vincenzo sbuffare sonoramente: “compie diciassette anni”. Appena finita la frase, le ragazze irrompono nella loro camera armate di scopa, paletta e secchio colmo d’acqua fresca. Vincenzo si avvicina sorridendo e avvolgendo la più giovane in un caldo abbraccio “tanti auguri, bambina mia”.

Giuseppe si avvicina e, allontanando bruscamente il fratello da Clelia, la stringe tra le sue braccia con maggiore forza “tra poco sarai una donna e non più una bambina”.

Che detto con quel tono le sembra quasi un minaccia; Giuseppe ha 19 anni, solo due anni in più a lei, eppure in famiglia è stato considerato un uomo a soli 16 anni.
Cosa cambiano due anni? Clelia è della convinzione che adulti si diventasse solo quando si capiscono i reali valori della vita e si è pronti a condividerli con chiunque, oppure che dipendesse dal fatto di essere responsabili, ma non in base all’età; una persona potrebbe avere anche trent’anni e saper badare a malapena se stessi.

Clelia è nata nel 1933 ed è l’ultima di cinque figli vivi. Il primogenito, Andrea, è nato nel 1910, condannato a vivere l’infanzia durante la prima guerra mondiale, terrorizzato da un mostro che non poteva vedere: la fame.

Dopo di lui nacquero altri figli, ma nessuno di loro erano vissuti a lungo; una coppia di gemelle, nate nel 1912 morte entrambe di febbre all’età di due anni. Un bambino nato il 24 maggio del 1915, morto di tubercolosi l’anno successivo. Un altro bambino nato morto nel 1920. Poi, nel 1925 nacque Maria, seguita l’anno successivo da Vincenzo. Giovanni, invece, nacque nel 1931 e purtroppo nessuno di loro ha avuto scampo alla seconda guerra Mondiale.

“Oh, no! Non iniziare con la stessa cantilena di tutti gli anni” dice la ragazza divertita, ricambiando il suo abbraccio. “Ora dobbiamo pulire, però”.
Giuseppe le schiocca un bacio sulla guancia.

“Va bene, prendo i miei vestiti e vado a lavarmi”, si avvicina all’unico piccolo armadio di legno posto di fianco alla finestra che condivide con Vincenzo. Le due sorelle aspettano i fratelli che escano dalla stanza prima di iniziare a pulire.

Il sole oltre le nuvole Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora