Capitolo Dodici. 10 Luglio 1950

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La fabbrica di camicie dei coniugi Esposito a via Foria non è distante da casa di Clelia, eppure le sembra di non arrivare più.

Entra nel negozio dove trova il proprietario firmare alcune carte e sistemarle ordinatamente su un mucchietto a parte.

“Buongiorno, Signor Antonio” lo saluta con un gran sorriso, emozionata di poter finalmente iniziare a lavorare.

“Buongiorno, piccerè. In ritardo già il primo giorno…” la rimprovera bonariamente, scuotendo la testa. “Sbrigati, ti stanno aspettando.”

“Perdonatemi” dice, e senza perdere altro tempo, entra dietro al bancone  e attraversa la porta in legno posta alle spalle del signore; raggiunge le scale sul retro e sale fino al primo piano dove di fronte a lei c’è una porta chiusa. Bussa due volte.

Ad aprirle è la Signora Concetta, che incrocia le braccia appena la vede.

“Non va bene che sei in ritardo il primo giorno, ragazzina.”

“Mi dispiace. Per farmi perdonare farò il doppio dei colletti.”

“Tesoro, non ne saresti capace nemmeno con tutta la tua buona volontà” le dice, sorridendole.

“Quanti dovremmo farli al giorno?” le chiede, mentre la signora la fa entrare, mostrandole uno spazio abbastanza grande da farci entrare quarantacinque donne con una fascia d’età che va dai 17 ai 40 anni.

“Lavorerai per otto ore al giorno e devi produrre un massimo di tredici colletti a ora, se sei brava in matematica saprai che sono…”

“Centoquattro colletti al giorno” conclude Clelia, troppo demotivata da quella cifra.

La signora Esposito le mostra il suo tavolo da lavoro, posizionata in mezzo a donne molto più grandi di lei, facendola sentire un po’ fuori posto.

Si guarda intorno, in cerca di volti familiari; tre posti dietro di lei trova Elena e ancora più infondo Caterina.

Ottimo! Pensa sconsolata.

Beh, almeno in questo modo nessuno potrà distrarla dal suo lavoro.

In questo suo primo giorno di lavoro le sembra di ricordare i primi giorni di scuola: un’ansia.

Anche se non lo è, le sembra di essere sotto pressione come quando la maestra le chiedeva se avesse svolto i suoi compiti delle vacanze. Lei ovviamente li svolgeva, ma temeva sempre che fossero errati.

Oggi è così che si sente, con l’unica differenza che non può permettersi di sbagliare gli esercizi.

Le prime due ore di lavoro sono state poco proficue. Ha totalizzato solo dieci colletti, ma almeno sta iniziando a prenderci la mano e la sua tecnica migliora colletto dopo colletto, infatti nelle successive due ore riesce a produrre venti colletti.

È un bel progresso, ma trenta colletti in 4 ore di lavoro sono pochi. Clelia si guarda intorno e nota che le altre dipendenti hanno totalizzato una quantità enorme di colletti.

Osserva abbattuta la sua misera produzione, ma prova a non consolarsi eccessivamente. Meglio pochi ma buoni.

Passano altre tre ore di duro lavoro; Clelia ha preferito non pranzare per non perdere la concentrazione, ha smesso di alzare il viso ogni 30 minuti per guardare l’orologio e, per non perdere altro tempo, ha persino smesso di contare il totale dei colletti prodotti ogni ora.

La signora Esposito avvisa le sue dipendenti che tra meno di mezz’ora la fabbrica chiude.

Clelia ascolta le parole della donna senza alzare il viso dalla sua macchina da cucire a pedali.

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