10. Sesto senso

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Come da programma, dopo ore stancanti di trekking, ci siamo fermati alla Botega La Geria per un rifocillante aperitivo a base di vini della zona.
Mentre costeggiamo le viti basse che precedono il casolare rigorosamente bianco, non risparmiamo prematuri complimenti: il vento e il suolo vulcano devono rendere la coltivazione piuttosto ardua, anche per chi è nato e cresciuto sull'isola e conosce quindi il territorio.

«Salve, abbiamo prenotato una visita con aperitivo.»

La voce robotica di Francesco Viale mi giunge alle orecchie a una tale velocità da distrarmi immediatamente da ciò che sta dicendo Sabrina Corsi.
Sono una di quelle persone che è in grado di alzare un solo sopracciglio, proprio come sto facendo ora.
Lui mi rivolge uno sguardo e alza un angolo della bocca.

Imbarazzante quanto siamo sincronizzati.

«Ti ho tradotto l'incipit del discorso che sta facendo. Qualcosa mi dice che non conosci lo spagnolo» chiarisce, sornione.

«E lo hai dedotto da...?»

Ora, è ovvio che non sappia lo spagnolo.
La prima lezione che ho seguito nel mio periodo da liceale è stata anche l'ultima.
Il corso scolastico fuori orario al quale mi ero iscritta perché presentava la dicitura principiante a caratteri cubitali, si è rivelato in realtà una setta di maniaci della Spagna.
Sono convinta che se glielo avessi chiesto, sarebbero stati in grado di parlare il castigliano, il catalano, il basco e pure il galiziano.
Lì si concluse la mia curiosità nei confronti della lingua – escludo in maniera categorica che Viale ne sia a conoscenza.

«Sesto senso» replica.

Mi verrebbe da chiedergli come faccia a ostentare la sua cementata sicurezza anche quando sta sparando a caso.
E soprattutto come faccia a prenderci ogni volta.

«Almeno questo lascialo a noi donne.
Hai solo tirato a indovinare,» sentenzio, rivolgendo lo sguardo altrove «oppure ce l'ho scritto in faccia».

Non mi impegno nemmeno a nascondere la mia delusione; conosco fin troppo bene i miei limiti, ci convivo oramai da parecchio tempo e non è un problema.
Anche se faccio fatica ad accettare che la mia incapacità possa risultare così aperta al pubblico, sono costretta a confermarlo: queste insinuazioni mi colpiscono dove fa più male.

«Ti ho vista parlare con uno spagnolo» chiarisce.

Per quanto questa frase apra nuovi scenari, non è la sola causa del disorientamento che sto provando.
La sua mano è appoggiata delicatamente sulla mia testa; è così grande che il suo palmo mi copre l'intera superficie, o forse è il mio cranio a essere così piccolo da rinchiudersi perfettamente tra le sue dita.
Al momento non mi è chiaro: mi sento come una bambina che viene coccolata dal padre dopo una sgridata.
Mio padre si comportava proprio così; un uomo burbero che mostrava il suo immenso cuore solo all'adorata figlia.
Per la cronaca, sono sempre stata una fiera e convinta daddy's girl, alias cocca di papà.

Dopo secondi che sembrano minuti, Francesco Viale si allontana, privandomi della possibilità di vedere la sua espressione.
Rimango qualche istante a pensare a quello che mi ha appena detto, ora che la sua mano non tiene più in ostaggio la mia materia grigia.
Se come dice mi ha sentito bofonchiare qualche parola in spagnolo, deve aver visto il pittoresco individuo con cui ho tentato di dialogare ieri.
Adesso mi viene da sorridere a pensarci, anche se ad un certo punto quel tipo aveva cominciato a risultare invadente.
Se non fosse stato per Leonardo Costa, non so se sarei riuscita a liberarmene: lui continuava a parlare, mentre io provavo a interpretare e bofonchiate qualcosa di risposta; lui si avvicinava e io facevo un passo indietro.
Alla fine non ho nemmeno compreso che cosa volesse veramente, e il viaggiatore angelico non è stato per niente collaborativo, ha eluso la mia curiosità con un semplice "lasciamo perdere".

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