18. Come granelli di sabbia

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Leonardo Costa mi viene incontro, ancora una volta ricoperto di gocce d'acqua.

«Per caso Aquaman è un tuo lontano parente?» ironizzo.

Il suo sorriso splendente mi acceca come di consueto, ma non è la sola cosa su cui si concentra la mia attenzione.
Come non notare la sensualità che il suo fisico ostenta senza troppa fatica; come non notare le linee marcate di quei muscoli che brillano alla luce del sole.
E come non notare la figura di Francesco Viale alle sue spalle.
Se parliamo di fascino, per quanto mi dispiaccia ammetterlo, anche il viaggiatore ritardatario non può passare inosservato.

Per la prima volta i nostri sguardi si incrociano.
Un secondo, due secondi... e il viso di Leonardo occupa tutto il mio mondo, mentre il viaggiatore ritardatario si allontana.

«Stai tentando di farmi ingelosire?»

Lo guardo, confusa.

«L'occhiata che hai lanciato a Francesco» chiarisce.

«Non—»

Blocca sul nascere ogni mio chiarimento, mi alza il viso con le dita e preme le sue labbra sulle mie.
È un bacio casto, una sorta di familiare saluto.
Mi domando quando sia diventato tutto così naturale tra noi, come se fossimo una vera coppia.

«Sei una persona gelosa?» gli chiedo, ansiosa di cogliere quel qualcosa in più su di lui.

«Lo sono il giusto» confessa, sistemandomi una ciocca di capelli dietro all'orecchio.

La sua mano è congelata e ciò aumenta i brividi che già mi percorrono il corpo accaldato dal sole estivo.

«Quindi, niente di morboso, macabro e sessista?» scherzo.

Il suono baritonale della sua risata è un piacere per le orecchie, e per il mio ego.

«Mmh, così è questo il tuo genere: morboso, macabro e sessista», sorride. «Se per te è importante, ci posso lavorare su.»

Sorrido di riflesso, è fin troppo facile con lui.
«Non ci pensare nemmeno!»

«La mano di Sabrina sta sventolando da più di dieci secondi. Credo che sia il segnale che è ora di andare» osserva, divertito.

«Già. È in ansia per il ritardo sulla tabella di marcia», alzo un sopracciglio però in fondo diverte anche me.

Faccio per tornare indietro, ma Leonardo non mi lascia la mano costringendomi a ritornare con gli occhi su di lui.

«Perché non sali sulla mia auto? Chiediamo un cambio» propone, con lo stesso sguardo di un bambino che non vuole lasciare il nuovo peluche.

«E con chi? Non mi va di separare Bruni e Gironi...»

Quei due devono stare assolutamente insieme.
Per qualche strano motivo, fa stare tutto il gruppo più tranquillo.

«Li chiami ancora così?» sottolinea, sorpreso.

«Nella mia testa, sono ancora Bruni e Gironi. Non mi prendere in giro, ci metto un po' a prendere confidenza», un po' mi vergogno, lo ammetto.

«Non so se esserne felice, o temere il mio cognome», mi guarda sornione.

«Vedi tu. Per quel che ne sai potrei averti affibbiato un soprannome peggiore.»

Non mi dispiace affatto questo nostro modo di giocare: ci rende complici, ci avvicina senza esagerare.

«Okay, hai vinto. Per il momento Costa può andare bene» si arrende.

E mi dispiace ancora meno il modo in cui ci perdiamo a fissarci. Come se avessimo la necessità di conoscerci prima del tempo, di accelerare i tempi.

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