23. Non posso seguirti

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Dopo essere arrivato a casa mi ero chiuso in camera mia, mi ero sotterrato nelle coperte e avevo nascosto la testa sotto al cuscino

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Dopo essere arrivato a casa mi ero chiuso in camera mia, mi ero sotterrato nelle coperte e avevo nascosto la testa sotto al cuscino.

Mia madre mi lasciò in pace fino a sera, poi venne a chiedermi se andava tutto bene, se volevo mangiare, se avevo litigato con Nico. Io però non le risposi.

Rimasi ad affogare tra le lenzuola per tutta la notte. Pensavo, e non riuscivo a smettere.

È terribile quando la tua testa non se ne sta zitta.

La mattina dopo rimasi imbalsamato lì dov'ero. Mia madre non mi ordinò di andare a scuola, come fanno certe madri. Mi portò del pane tostato, e poi mi portò a fare un giro in superstrada sulla nostra Fiat Cinquecento. Beccammo tante macchine in parallelo, ed io guardai le ruote che giravano, e giravano, e giravano. Finché la mia testa non smise di pensare.

...

Dalle 12:00 alle 14:00, dalla mia finestra brillava sempre un fascio di luce che colpiva la parete opposta, all'altezza di metà del mio letto.

Non mi colpiva mai negli occhi, perché il palazzo di fronte faceva ombra sul lato dove tenevo il cuscino, così potevo fissare il fascio di luce mentre ero sdraiato, e senza accecarmi.

Gli acari della polvere visti da vicino sono davvero disgustosi, ma quando non hai un microscopio a portata di mano e li vedi fluttuare nella luce, sono una delle cose più belle che esista al mondo.

Quando sentii il campanello di casa, erano quasi passate le 14:00, quindi presto il fascio di luce sarebbe scomparso. Io ero tutto strizzato sul letto, tenendo il barattolo di Charlie Chaplin appena un po' dentro la luce.

Sentii la porta di casa che si apriva, mia madre che salutava, e Nico che bisbigliava qualcosa.

Tenni gli occhi puntati sul vetro curvo del barattolo anche quando qualcuno entrò nella mia stanza.

"Oh, wow." Disse Nico tra sé e sé. "Non sei un fan del minimalismo."

C'erano tante cose nella mia camera. Tanti colori. Tutti i colori. Un lungo scaffale appeso alla parete opposta al letto ospitava tutti i miei peluche. Erano ventiquattro Pokémon (più un Digimon che si era infiltrato come un cuculo).

"Gio."

Io continuai a fissare il mio barattolo. Oggi le parole erano più incastrate che mai.

Sentii il letto che si inclinava, Nico che si sedeva. "Oh. Non è rimasto molto di Charlie."

Erano passati più di due mesi da quando avevo salvato quel polipetto dall'insalata, e anche se avevo messo l'aceto insieme all'acqua nel barattolo, Charlie Chaplin aveva finito col degradarsi sempre più, fino a diventare una piccola poltiglia marroncina senza forma.

"Non sono bravo con gli animali vivi, sai." Mi venne da dire. "Quando ero piccolo avevo un acquario. Ogni volta che mia madre mi prendeva un pesce ero super emozionato. Lo amavo tantissimo da subito. Ma poi mi dimenticavo di dargli da mangiare e il pesce moriva. Vorrei sapermi prendere cura di un animale vivo che mi tenga compagnia, ma non penso di esserne capace. Per questo mi piacciono gli animali morti, penso. Non possono morire di nuovo."

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