10. PARTE DUE - Nicola Serse Demir

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Non avevo dormito bene per almeno tre ragioni: -il mio letto era troppo morbido;-erano passate almeno ventiquattr'ore dall'ultima volta che avevo mandato qualcuno a quel paese;-Gioele mugugnava mentre dormiva

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Non avevo dormito bene per almeno tre ragioni:
-il mio letto era troppo morbido;
-erano passate almeno ventiquattr'ore dall'ultima volta che avevo mandato qualcuno a quel paese;
-Gioele mugugnava mentre dormiva.

O almeno, supponevo stesse dormendo. La sua testa era sotterrata dalle coperte e dal cuscino, non riuscivo a vederla; la sagoma del suo corpo sembrava un foglio accartocciato in una pallina.

Ogni volta che aggiornavo il conto di quante ore erano passate dall'ultima volta che avevo mandato qualcuno a quel paese mi sentivo come una pentola a pressione sul punto di esplodere. Poi guardavo il mio incomprensibile compagno di stanza e mi sentivo come crème caramel che cuoce lentamente. 

Non è normale. 

Mi tirai a sedere facendo scricchiolare la rete del materasso. Sapevo che era mattina, ma la luce che filtrava dalla finestra era dovuta passare attraverso diversi strati di nuvoloni grigi per raggiungermi, e così appariva depressa e spenta. Bello, la luce che fa per me. 

Scostai piano le coperte e appoggiai i piedi sul pavimento freddo colpendo qualcosa che fece rumore. Gioele non si mosse.

Abbassai lo sguardo e trovai un cellulare abbandonato per terra. Mi chinai per recuperarlo facendo gemere di nuovo il materasso. Premetti il tasto di sblocco e mi apparve uno screensaver pieno di roba colorata e sopra una scritta a malapena visibile: "Non avere pietà dei morti, abbi pietà dei vivi. E, soprattutto, abbi pietà di coloro che vivono senza Shounen Jump."

Ma la cosa più rilevante era che c'erano trentanove chiamate perse da "mamma" e venti messaggi.

MhH.

"Gio." Lo scossi per quella che supponevo fosse la spalla.

Lui mugugnò e si accartocciò ancora di più. Ed il crème caramel di cui erano attualmente fatte le mie ossa cominciò a colare lungo le mattonelle del pavimento. 

Vediamo di darci un contegno.

"Gio... Hai chiamato tua madre quando siamo arrivati a Torino, vero?"

Il silenzio si prolungò per altri tre secondi circa. Le coperte schizzarono all'aria strillando, Gioele saltò giù dal letto e si fiondò sul suo borsone abbandonato a terra.

"Qui." Gli porsi il cellulare, e lui si guardò freneticamente attorno prima di puntare la mia mano come un rapace.

"Mamma!" Squittì non appena mise il telefono all'orecchio. "Sono viiiiivooo!"

I suoi capelli bruni presero vita, drizzandosi ad ogni grido proveniente dall'altro lato della cornetta. Aveva ancora addosso i pantaloni della divisa e una canottiera bianca tutta stropicciata che gli cadeva sbilenca su una spalla. Stava annuendo molto seriamente a quelle che potevo solo immaginare fossero minacce di morte da parte di sua madre, e nel mentre si stava puntellando la guancia con l'indice come fosse l'impasto del pane pronto per la lievitazione. Era adorabile a dei livelli eccessivi.

Plic PlicDove le storie prendono vita. Scoprilo ora