8. Ed ecco Michela

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Manuel era un tipetto basso ma spesso

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Manuel era un tipetto basso ma spesso. Le maniche arrotolate fino alle spalle mostravano i muscoli massicci e abbronzati delle braccia. Era una strana visione. Come i canguri. Sembrano tanto carini e peluchosi e poi BAM, una fila di addominali scolpiti come neanche un nuotatore olimpico.

Però Manuel non sembrava peluchoso, era solo basso. Più basso di me e di Nicola, più basso di mia nonna che da quando aveva superato i settanta aveva perso quattro centimetri.

"Benvenuti nella squadra, ragazzi." Disse Manuel mostrando un sorriso da pubblicità della Colgate. Aveva un accento con qualcosa di ispanico. Non c'era nessuna probabilità che riuscissi ad indovinarne l'origine, quindi non ci provai nemmeno.

Ci fece segno di seguirlo. "Venite, vi faccio vedere tutto. Di qua, di qua!" Esclamò la nostra guida uscendo dalla cucina ed imboccando le scale appena fuori. Dovevamo... salire? Non avremmo lavorato nella cucina?

Io e Nico lo seguimmo scambiandoci uno sguardo perplesso.

"Eccoci. Pasticceria." In cima alle scale, Manuel puntò una SECONDA cucina che si apriva sulla sinistra. "Celle frigorifere." Indicò la fila di porte sulla parete di destra. "Il magazzino." Che stava oltre la pasticceria. "Macchina sottovuoto e cassetta pronto-soccorso." Che dovevano essere nascoste in un angolo, oltre la fila di celle frigorifere.

Quel posto non era solo leggermente più grande della cucina di scuola, era MASTODONTICAMENTE più grande.

"Il montacarichi si può usare solo se dovete fare su e già con i carrelli." 

Il montacarichi era quell'ascensore che avevamo visto di sotto, di fronte alle scale. E con "carrelli", Manuel intendeva quelle torri di metallo più alte di me che erano parcheggiate al piano di sotto. Avevano teglie su ogni livello, come una gigantesca cassettiera con le ruote.

"Venite! Venite!" Manuel sembrava eccitato come un bambino che ha appena trovato delle figurine rare nel suo pacchetto e non vede l'ora di fartele vedere.

Ci fermammo sulla soglia della pasticceria. C'era un solo piano cottura lì, tutto il resto era composto da tavoli, planetarie e forni. C'era anche la macchina per tritare la carne, stipata in un angolino. Non c'entrava molto con la pasticceria, forse non sapevano dove altro metterla.

"È grande." Commentai. Guardai Nico per fargli capire che stavo parlando con lui, ma Nico non mi stava ascoltando. Non mi piace l'espressione "gli brillavano gli occhi", ma a lui brillavano proprio gli occhi.

"Cesare è il nostro chef Patissier." Disse Manuel indicando un signore con il pizzetto e i baffi e una spolverata di capelli grigio-bianchi. Aveva la pelle rugosa anche se non sembrava tanto vecchio. Forse non sembrava vecchio perché stava dritto come un soldato.

Quando si sentì chiamare per nome si voltò verso di noi. Guardò me e Nicola senza sorridere.

"Sono i nuovi stagisti." Spiegò Manuel. Cesare fece di sì con la testa e poi si girò per parlare con una ragazza che pareva appena ventenne, ignorandoci completamente.

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