Ancora io ci penso a te, sì

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"Sono le dieci, ti alzerai prima o poi?"

La stanza è un vortice che non si ferma, la sua vista è totalmente sfocata, nota una macchia scura a pochi passi da lui, vorrebbe solo dormire. Non ha idea di dove si trovi, o del perché sia lì o di chi fosse la voce che ha appena parlato. La sua testa sembra una bicicletta in corsa, in discesa, che vola giù. Vorrebbe chiudere gli occhi, se lo facesse sicuramente tutto finirebbe. Serra le palpebre con forza ma non aiuta, piuttosto si sente cadere. Come in un pozzo scuro, dove l'oblio è fin troppo vicino e una volta raggiunta la fine, sarebbe stato circondato dal nulla. Non vuole cadere. Non vuole finire in quell'oblio. E allora apre gli occhi e si ritrova nella camera da letto di Tommaso, la loro camera da letto. Si siede e subito le vertigini lo travolgono, chiude e riapre gli occhi, il cuore batte rapido nel petto e gli viene da vomitare. Tenta di prendere dei respiri profondi ma è come se l'aria fosse stata compressa dentro di lui e dopo lentamente lasciata uscire.

Si alza a fatica, ha solo i boxer addosso e si chiede che fine abbiano fatto il resto dei vestiti della sera prima. Recupera la felpa e va in cucina dove sente Tommaso sbattere le stoviglie, incurante del suo mal di testa post sbornia.

"Buongiorno!" Mormora mentre Tommaso versa del caffè bollente nella tazza con il suo nome sopra. Anche in queste cose è estremamente ego riferito.

"Giorno." Risponde secco e lapidario.

"Non mi ricordo quasi niente di ieri sera." Ha ben vivido solo quello scambio di battute con Andrea sul balcone.

"Io sì purtroppo." Poi si volta verso di lui con uno sguardo che incenerirebbe chiunque. "Mi hai fatto fare una figura di merda."

"Lo so, avevo bisogno di staccare il cervello."

Tommaso sbatte la mano sulla lastra di marmo dell'isola. "Nessuno ti ha costretto a venire. Nessuno ti aveva invitato. Sei voluto venire tu!"

"Lo so, non avrei dovuto."

"Per colpa tua sono pure dovuto andare via prima dalla festa." Ha alzato ancora di più la voce.

"Scusami."

Simone si siede sulla sedia e si tiene la testa con una mano, il gomito poggiato sul tavolo. Anche Tommaso si siede al tavolo e lo fissa contrariato.

"Perché sei vestito?" Chiede, alzando gli occhi verso il ragazzo.

"Perché andiamo dai miei a pranzo."

Simone sospira stanco e insofferente. "No, ti prego, non mi va. Sono completamente in hangover."

Tommaso si alza e con uno scatto, sposta la sedia di Simone per fissarlo con la fronte che quasi sfiora la sua e lo sguardo truce. "Dopo la figura di merda di ieri, ti permetti pure di dirmi di no? Tu adesso ti prepari e vieni con me senza fiatare, chiaro?" Glielo sibila a un centimetro da sé, spaventando Simone, di nuovo come un anno prima.

"S-sì, okay." Si alza, tremando, con le spalle alte e gli occhi bassi.

Si prepara quanto più velocemente possibile e rimane in silenzio, mentre si mette il cappotto e prende il telefono ancora in carica.

"Sono pronto. Andiamo?"

Tommaso lo squadra da testa a piedi con una smorfia di disgusto e scuote la testa. "Sei vergognoso, non ci vieni a casa dei miei così."

"Mi hai fatto preparare tu."

"Sì, ma sei indecente conciato così, pare che t'ha travolto un tir. Non mi farai vergognare anche davanti alla mia famiglia. Puoi pure rimanertene qui, per quanto mi riguarda."

Nessuno è solo | SimuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora