Miriam

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Era ufficiale: L'estate era la stagione che odiava di più. Perché doveva esserci tutto quel caldo? Non riusciva nemmeno a pensare. E non era nemmeno Luglio.
Sbuffò sonoramente, ripensando con nostalgia al condizionatore che la aspettava a casa. Poi riportò l'attenzione sugli esercizi di algebra che le erano stati assegnati. Come pretendevano che si concentrasse su quelle robe quando a malapena riusciva a ricordarsi il suo nome? Nemmeno sarebbe riuscita a trascrivere quelle equazioni senza sbagliare, figuriamoci a risolverle.
Con aria impaziente guardò l'orologio appeso alla parete della sua classe. Ancora trenta minuti prima di liberarsi da quel carcere.
Tornò con lo sguardo alla sua scheda. Non capiva assolutamente la matematica, in ogni sua forma e manifestazione. Tutti quei numeri la mandavano in confusione. Per non parlare delle lettere. Perché mettere delle lettere nella matematica? Perché mischiare così due cose completamente diverse?
Venticinque minuti. Non avrebbe fatto in tempo comunque a finire prima di andare a casa. Tanto nessuno stava più pensando ai propri compiti. Tutti stavano chiacchierando o facendosi gli affari propri. Le sue vicine di banco, Maya e Elisa, stavano rispettivamente disegnando e decorando le facce dei personaggi sui libri di storia fino a farle apparire irriconoscibili.
Venti minuti. Miriam rinunciò definitivamente ai suoi buoni propositi di fare qualcosa di produttivo prima della fine della lezione. Chiuse il quaderno con un gesto brusco e lo rimise nel suo zaino, sapendo già che avrebbe rimpianto quella scelta quando fosse arrivata a casa carica di compiti. Una goccia di sudore le rigò la guancia, dandole estremamente fastidio.
Quindici minuti. Si girò ed iniziò a guardare fuori dalla finestra, anche se la strada non le offriva alcun paesaggio interessante. Nemmeno un animale attraversava quelle strade. Nessuno si sarebbe sognato di uscire in una giornata così calda. Nessuno eccetto gli alunni di una scuola così geniale da offrire dei corsi aggiuntivi durante l'estate, e gli stupidi che avevano accettato. Cosa aveva in mente quando aveva acconsentito ad iscriversi?
Dieci minuti. Ormai era completamente persa nei suoi pensieri, ignara del rumore che ormai imperversava per la classe, nonostante i tentativi del professore di quietarlo.
Cinque minuti. La confusione della classe era così estrema da distrarla dalle sue fantasie, cosa che lei stessa riteneva quasi impossibile. Per qualche minuto rimase in una specie di trance, per metà ascoltando le chiacchiere della classe e per metà immersa nelle sue fantasie così immensamente da non pensare letteralmente a nulla.
Un minuto. «Potete mettere via» esclamò l'insegnante, probabilmente anche lui sollevato dall'imminente campanella.
Finalmente l'agognato suono invase le aule, accolto da grida festanti che parevano quelle di assediati ai quali fosse stata data la notizia della loro liberazione. Una massa urlante di ragazzi si precipitò fuori dalla scuola, probabilmente chiedendosi come lei per quale ragione avessero deciso di scegliere quel corso estivo.
Miriam si alzò ed incominciò a correre, incurante del pesante zaino e del caldo soffocante.
Odiava l'estate.
Perché non era nata in un posto più freddo? Tipo le Alpi. O la Norvegia. O il Polo Nord. Sì, il Polo Nord sembrava un ottimo posto per vivere. Probabilmente sarebbe riuscito a farle rimpiangere l'afa estiva.

Stava giusto riflettendo su questi temi quando le parve di vedere qualcosa. Non sapeva esattamente perché, ma decise di andare a vedere. Pochi secondi dopo si rese conto del suo errore. Lo stava facendo di nuovo. Stava facendo qualcosa senza un motivo, seguendo solo i suoi sentimenti.
Doveva trovare una motivazione valida per le sue azioni. Se lo era ripromesso.
Dunque, stava andando lì perché poteva aver visto qualcosa di sospetto, che poteva essere pericoloso per la comunità. Ecco, quella era una ragione sensata. Per quanto la studiasse, non c'erano falle logiche. E non era stata influenzata dalle sue emozioni. Stava solo eseguendo il suo dovere di cittadina. Nulla di più e nulla di meno. E quell'istinto che la spingeva era semplicemente qualcosa di fastidioso da eliminare.
Analizzò la faccenda da ogni punto di vista, e finalmente si convinse che era logica e coerente.
Si decise ad avvicinarsi, lentamente, e riuscì a vederla più chiaramente. Era una ragazza, poco più grande di lei, dai lunghi capelli ricci e neri, scompigliati come se non vedessero da tempo una spazzola. Indossava un paio di pantaloni grigi e una maglietta dello stesso colore, entrambi rovinati da una lunga usura. Era accovacciata per terra, nascosta in un angolo tra due case. I suoi occhi castani erano enormi, come se fossero stati sgranati per la sorpresa. No, non per la sorpresa. Per la paura.
Con un movimento brusco la trascinò via dalla strada, sussurrando:
«Non dire nulla. Non fare rumore. Loro sono qui. Ci troveranno entrambe.»
Paralizzata dal terrore, Miriam tentò di parlare, di chiedere qualcosa, ma aveva la gola secca. Le corde vocali inutilizzabili. Ci mise quasi un minuto prima di riuscire a dire qualcosa.
«Loro chi?»
Lei la fissò senza parlare, poi rispose:
«Non ha importanza. Ma stanno arrivando.»
«E tu, invece, chi sei?»
Esitò, prima di rispondere. «Nemmeno il mio nome ha importanza. Ma se vuoi puoi chiamarmi Kira.»
Quel nome le ricordava qualcosa, come se l'avesse già udito in un qualche passato lontano, ma scacciò la tentazione. Per quel giorno aveva già ceduto a troppi impulsi.
«E loro cosa vogliono da te?»
Il suo volto si fece anche più serio di prima, e la sua voce assunse una tonalità funesta.
«Imprigionarmi. Impedirmi di essere libera.»
Ed in quel momento vide, riflessa nei suoi occhi, quella sete, quell'affanno, quel desiderio di non avere confini, di non essere fermata da nulla.
Quello sguardo le rimase impresso nel cuore. E lì sarebbe rimasto per sempre.
«Posso aiutarti, se vuoi.»
Lei non fece in tempo a rispondere, ma la negazione era quasi arrivata alle sue labbra.
Lei non fece in tempo a rispondere, ma avrebbe detto di no. Nulla doveva minacciare la sua libertà, la sua solitudine.
Lei non fece in tempo a rispondere. Un forte rumore le tolse in un colpo solo la risposta, il suo sguardo desideroso di libertà e la vita.

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