Nora

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Miriam continuava a vagare per le vie della città. Quel respiro era sempre più vicino. Sempre più forte. Lo seguiva come un annegato che si aggrappa ad una corda lanciategli in acqua, cercando un senso in tutta quella confusione. Lo pedinava con attenzione quasi maniacale. Per qualche motiva le venne in mente la fiaba di Hansel e Gretel, che ogni notte seguivano la scia di sassolini. O forse quello era Pollicino? In fondo non importava. Era solo una bizzarra associazione di idee, da ignorare e alla quale non pensare più.
Era così presa dalla sua ricerca da non osservare le case intorno a lei. Erano molto antiche, dello stesso colore nero, con delle decorazioni barocche e dei balconi pieni di vasi di fiori.
Tutto era intermezzato da alti alberi, che offrivano le loro fronde a chi cercava un po' d'ombra come ristoro dal calore estivo. Ma lei non ci faceva caso.
Trovò la sua proprietaria in una piccola piazza. Era una ragazza minuta, vestita di blu. Aveva la carnagione scura ed i capelli castani. Fissava nel vuoto, come in attesa di qualcosa, anche se sapeva che quel qualcosa non sarebbe mai arrivato. Era seduta sul lato di una panchina, una busta della spesa abbandonata vicino a lei. Miriam si guardò intorno. Non vedeva nessuno. Tentando di essere il meno rumorosa possibile, si sedette vicino a lei, tentando di non disturbarla. Sapeva come fosse piacevole trovare conforto nelle proprie fantasie.
Lei sembrò scuotersi di dosso tutti i suoi sogni, e si voltò verso di lei. Imbarazzata, giocherellando con una ciocca di capelli, Miriam si scusò: «Mi dispiace. Non volevo dare fastidio..» Le sue parole echeggiarono lungo il paese. Nonostante il suo fosse stato solo un mormorio, le ferì le orecchie.
«Non ti preoccupare» rispose l'altra. Dopo qualche minuto di silenzio, che mise entrambe a disagio, l'altra osservò: «Non sei del posto. Perché sei venuta qui? Non c'è nulla di interessante.» Dopo qualche esitazione, decise di dirle la verità. Se voleva saperne di più, a qualcuno doveva pur chiedere, no? «Cerco una persona.» «Dubito che la troverai qui. Probabilmente se ne sarà andata, chiunque sia. Nessuno resta qui a lungo. Solo i vecchi si fermano, e rinvagano i loro ricordi.» «Beh, in realtà cerco informazioni su questa persona. Una volta abitava qui, credo.» «Chi era? Magari la conoscevo.» «Si chiamava Kira.» Le mostrò Il suo volto si illuminò per qualche istante, prima di registrare il tempo della frase. «Chiamava?» «È morta» affermò, in tono lugubre. Per qualche secondo i suoi occhi si riempirono di lacrime. O forse fu solo uno scherzo della luce, perché dopo poco sembravano essere evaporate. «La conoscevo. Eravamo amiche.» Sentiva il disperato bisogno di chiedere di più, ma non voleva turbare il suo dolore. Distolse lo sguardo, così che potesse piangere in pace.
Ma lei non sembrava intenzionata a farlo, e riprese a parlare, a bassa voce. «Aveva sempre detto di voler essere libera. E sapevo che lei intendeva questo. Ma non credevo che l'avrebbe fatto sul serio». «Chi era?» chiese, incerta. La ragazza sospirò. «É difficile da spiegare. Partiamo dall'inizio, ok? Come ti chiami?» «Miriam, e tu?» disse, nonostante le sembrasse superfluo. Non sarebbero riuscite a comportarsi come due adolescenti normali, con quello spettro che si ergeva tra loro. Quelle presentazioni non avrebbero dato una parvenza di normalità alla loro conversazione. «Nora. Ebbene, Miriam, ti parlerò di Kira. Mettiti comoda. Sarà una lunga storia.» Sistemò le pieghe sui pantaloni, appoggiò la borsa vicino a sé, ed iniziò a parlare.

Ogni parola che disse si incise nella sua memoria, e non sarebbe mai svanita del tutto. Quello che stava per dire le sarebbe tornato alla mente, fino a tormentarla, per molti anni a venire. Ed anche quando divenne una vecchia signora, poteva ripetere tutto quel discorso, parola per parola.

Si fissò nella sua mente come l'immagine di quella macchia di sangue.

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