CAPITOLO 11: LO SPAZIO VUOTO

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La stanza in cui si risvegliò non era la sua, non aveva niente di familiare. Tutto era bianco: le pareti, le lenzuola, le spalliere del letto.

Aurelio provò a muoversi e si trovò con un braccio bloccato dall'ago di una flebo. "Cosa è successo?" sussurrò con voce flebile. "Finalmente ti sei svegliato" era la voce di suo cugino Flavio, seduto di fronte a lui su una sedia, in piedi alle sue spalle i genitori Astorre Aldobravi e Matilda Torrescura, la sorella minore del padre di Aurelio. La donna lo fissò con aria quasi di rimprovero: "Ci hai fatto stare in pena, Aurelio". Il profilo elegante, i capelli biondo cenere sempre raccolti sul capo, era una donna di classe sua zia.

"Ti è andata bene" aggiunse lo zio: "Te la sei cavata con qualche ammaccatura e un bel periodo di riposo". "Già" spiegò Flavio: "Solo qualche costola incrinata ed un gran mal di testa, vero cugino?" gli sorrise.

"Sarà meglio avvisare gli altri" proseguì il cugino alzandosi e i tre lasciarono la stanza ed un uomo confuso e triste.

Dopo qualche minuto, Gilberto e Cinthia entrarono come delle furie dentro la stanza. "Accidenti a te" lo rimproverò l'amica: "Ma vuoi stare attento? Poteva ucciderti quella macchina". Incuranti della flebo e delle costole doloranti, i due lo abbracciarono stretto, coprendolo di rimproveri al tempo stesso.

"Gil" chiese poi all'amico: "Da quanto sono qui?". "Solo qualche giorno" lo informò: "Ti hanno tenuto sotto osservazione, per tenere sotto controllo il trauma cranico. Ma niente di preoccupante, hai la stessa testa dura di prima dell'incidente". Gilberto gli sorrise, felice e sollevato al tempo stesso.

"Lianna è andata a casa a cambiarsi" disse Cinthia: "Sarà qui nel pomeriggio, è così preoccupata, si sente in colpa come se dipendesse da lei se vai in giro a buttarti sotto le macchine". Aurelio non rispose, ripensando a cosa era accaduto prima dell'incidente.

"Forse è così" sussurrò Aurelio, guardandosi poi intorno temendo lo avessero sentito.

"Dovrai stare a riposo. Per qualche mese" lo informò Gilberto con aria seria: "Niente sciocchezze, starai a casa. Ti porteremo noi quello che ti serve dall'ufficio. ".

"Non mi ha ucciso la macchina e volete farlo voi?" chiese Aurelio: "Mesi chiuso in casa? Che delitto ho commesso?". Cinthia e Gil gli sorrisero con affetto.

Un paio di giorni dopo, i medici gli diedero il permesso di uscire. Lianna, Gil e Cinthia lo accompagnarono insieme. "Di qualunque cosa hai bisogno, chiama pure" gli dissero i due amici quando furono nel suo appartamento. "Starò bene, posso muovermi quasi come prima" li rassicurò con un piccolo sorriso tirato.

"Sei sicuro che non vuoi che rimanga con te?" il tono di Lianna era quasi insistente. "Sono sicuro" rispose deciso e paziente: "Ho tutto quello che mi serve e ben tre assistenti pronti al mio comando", poi aggiunse: "Davvero, la casa è piccola rischieremmo solo di stare scomodi e tu devi lavorare".

Rimasto solo, Aurelio si buttò sul letto completamente esausto. Fissò il telefono che aveva nella mano per lunghi istanti, poi compose il numero di Malic.

Una voce registrata gli rispose che il numero era inesistente. Provò ancora due volte prima di rassegnarsi. "E' ufficiale" sospirò: "Sono morto ed andato all'inferno".

Quella notte, lo sognò. Era davanti a lui, gli occhi truccati, le belle mani pallide ed affusolate. Sedeva di fronte a lui. "Dove sei?" gli chiese Aurelio. Malic gli sorrise, fumando una sigaretta e soffiandogli il fumo addosso: "Sono nella tua testa".

Al mattino si svegliò più stanco e depresso del giorno prima, si guardò intorno nel piccolo appartamento vuoto ed ordinato.

Lasciata la camera, con passo lento raggiunse il tavolo da pranzo che era diventato il suo ufficio. Gli avevano portato il suo computer, vari fascicoli e tutto l'occorrente per farlo lavorare senza lasciare l'appartamento. Chiamò Gil come ogni mattina, per confermare che stava bene e migliorava ogni giorno. "Presto torneremo ai nostri dieci caffè al giorno" scherzò l'amico, Aurelio parlava poco e sentiva dal tono che l'amico era preoccupato anche se non chiedeva, non lo spingeva ad aprirsi se non voleva.

Io non esistoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora