CAPITOLO 34: SOLO UNA PAROLA

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"Passai quasi tre anni al quadrato" disse Malic ad Aurelio che chiese: "Con Cesare?". Il giovane gli lanciò un'occhiata di traverso, l'altro distolse lo sguardo con aria colpevole. "Dopo la prima sera" continuò Malic in tono freddo: "Cesare disse che non ero male, sapevo stare tranquillo e non strillavo come facevano le ragazzine.", fece un sospiro prima di continuare: "Era cresciuto per la strada, iniziando con furti e piccole rapine quando era ancora minorenne. Poi era passato alla spaccio ed aveva fatto carriera, era privo di scrupoli. Non si fidava di nessuno e sapeva comandare, dormiva con la pistola sul comodino e le sue punizioni erano note nell'ambiente. Aveva un pessimo carattere, che peggiorava quando sniffava la cocaina.".

Fece una pausa: "Non prendeva molto spesso la droga, ma quando si sentiva giù la usava per ricaricarsi. Per me, preferiva l'eroina. All'inizio una piccola dose, poi ogni tanto per tenermi più legato di una semplice porta chiusa. Non che avessi altro posto dove andare". "I tuoi genitori non ti cercavano?" chiese Aurelio. "Sapevano dove ero, le voci correvano veloci anche in periferia. Ma facevano di tutto per nasconderlo, almeno nel nostro paesino. Si inventarono malattie, viaggi di studio, quando tornai scoprì che mio padre aveva fatto di tutto ed usato ogni conoscenza per non farmi perdere anni di scuola. Sarebbe stata un'onta troppo grande per lui".

Alzando lo sguardo al cielo, Malic scrollò le spalle, come se la cosa non lo riguardasse più. Aurelio si avvicinò, indeciso se abbracciarlo, lo squadrò con aria confusa: "Non credo di riuscire a immaginare come possa essere stato per te".

Il tono comprensivo non sembrò raggiungerlo, Malic lo fissò freddamente: "Cesare era un tipo molto possessivo ed io ero una cosa sua, come la pistola, come la macchina. Era lui a decidere dove dovevo stare, cosa dovevo fare. Poteva passarmi ad altri come fossi un oggetto e, quando era di cattivo umore," fece una strana pausa, come se la cosa lo stupisse ancora: "Dio, se picchiava forte."."Cosa vuoi dire?" Aurelio alzò la voce, le mani gli tremavano al pensiero evocato da quelle parole. Il giovane gli rivolse un sorriso amaro: "Da dove pensi vengano le lesioni interne? Cadute dalle scale?". "Avrei dovuto fare di più" si rammaricò Taddeo, arrivato in silenzio da qualche istante e fermatosi ai piedi delle scale, camminò lentamente verso Malic con aria afflitta: "Come medico, ho fatto il mio dovere assistendoti. Ma come uomo, avrei dovuto cercare di portarti via da lì". La testa bassa, il tono triste rivelavano un forte senso di colpa. Malic gli lanciò uno sguardo diretto e freddo al tempo stesso: "Non c'era niente che tu potessi fare, allora. Ti avrebbero fatto del male, ti avrebbero cacciato e non avresti più potuto aiutare nessuno.". Taddeo scosse la testa, guardando a terra. Aurelio fissava ora uno, ora l'altro, cercando di calmare la propria agitazione al pensiero del passato del giovane che tanto contava per lui. Anche Agatine scese le scale, il passo lento e lo sguardo dritto avanti a sé, evitando volutamente di guardare le due persone che erano la sua famiglia."Non ero ancora pronto, Tad" continuò in tono calmo Malic: "Per tanto tempo ho pensato di appartenere a quel posto, che fosse l'unica vita possibile per me. Per come ero, per come sono, pensavo di meritare di essere punito. Che ci fosse qualcosa di sbagliato in me". "Già" il tono di Agatine era duro: "Chissà da dove ti venivano queste idee". Malic le rivolse un mezzo sorriso, gli occhi freddi e distanti, alzò le spalle come faceva spesso: "Poi tutto è cambiato", quella frase evocò nella mente di Aurelio le immagini del blitz che aveva visto: forze dell'ordine in tenuta anti sommossa, fumogeni e blindati. "Era quasi il tramonto di un giorno come tanti" sussurrò Malic, gli occhi socchiusi.

Nella stanza al secondo piano dell'edificio, Malic era seduto sul letto, composto e silenzioso. I capelli neri erano corti, appena sotto l'orecchio, una maglia nera gli copriva le braccia magre e pallide. Di colpo, la porta sempre chiusa a chiave si spalancò e Cesare entrò con aria preoccupata e severa. Dall'uscio rimasto aperto, si udivano rumori di gente che correva, di urla concitate. L'uomo appena entrato non disse nulla, fissò Malic con uno strano sguardo, quasi stupito come se lo vedesse per la prima volta. Il giovane si alzò e rimase in piedi con aria incerta e confusa, non capiva cosa stesse accadendo. Cesare prese in mano la pistola che portava sempre al fianco, fissandola con aria assorta. Malic sospirò, non si aspettava nulla di buono. A un tratto, Cesare si voltò verso la porta come ascoltando con aria intenta i rumori, scuotendo poi la testa quasi a volerli scacciare. Passi pesanti si udirono sulle scale, ordini concitati di arrendersi senza opporre resistenza. Era una giornata calda, Cesare fissò con aria incantata la tenda quasi trasparente, che ondeggiava davanti alla finestra aperta. A un tratto, improvvisamente risoluto, Cesare depose la pistola e si avvicinò con passi decisi verso Malic, afferrandolo per le spalle. Il giovane era spaventato, ma non si oppose. L'uomo disse solo una parola:"Vai", poi lo sollevò e lo lanciò oltre il davanzale della finestra, facendolo precipitare per i due piani su un cespuglio ai piedi dell'edificio.

"Non so quanto tempo passò, persi i sensi e non ricordo nulla" sussurrò Malic e Taddeo si avvicinò con un sorriso affettuoso, poi annuì: "Ti trovai il giorno dopo, quando finalmente la zona venne riaperta. Nessuno si accorse di te, ma avevi perso molto sangue e la tua gamba era rotta in diversi punti". "C'ero anche io quel giorno" ricordò Agatine in tono serio: "Eri così pallido e magro, avevo paura che saresti morto". Aurelio fissava il giovane senza dire nulla, sopraffatto da tutto quello che aveva sentito, istintivamente si avvicinò a Malic temendo di essere respinto ma l'altro lo fissò con aria tranquilla e quando l'uomo allungò una mano verso di lui la strinse per un istante, prima di allontanarsi con un mezzo sorriso. "Devo salire a prendere una cosa" disse incamminandosi lentamente verso le scale, Taddeo gli disse: "Prendi anche i documenti del mio collega, non fingere di dimenticarti".

Sparito Malic, Aurelio si voltò verso Agatine senza nascondere la sua tristezza, le mani strette a pugno per la rabbia che aveva condiviso con la donna in alcuni momenti. Agatine gli sorrise con aria incoraggiante: "Sta bene, non preoccuparti. Malic è molto più forte di quello che sembra.". "Deve esserlo per forza" sussurrò Aurelio, abbassando lo sguardo, perso nei propri pensieri. "Quando lo abbiamo portato in clinica, sembrava un caso disperato" Taddeo fece un sorriso fiero: "Ma ha stupito tutti, ha trovato in sé la forza di guarire e di essere se stesso.". "I suoi non sono mai venuti" il tono di Agatine era gelido, poi sorrise anche lei in un modo quasi compiaciuto: "Ma questo invece di abbatterlo lo ha motivato, lo ha reso più determinato. Come dice sempre: questo sono io e si fottano gli altri". Nel silenzio che seguì, il leggero sussurro di Aurelio sembrò riecheggiare: "Io lo amo", lo aveva detto per se stesso e per nessun altro, perché voleva sentirlo ancora reale prima di dirgli addio. Agatine finse di non aver sentito nulla, Taddeo si avvicinò invece, dopo aver guardato verso le scale per sincerarsi che Malic non stesse arrivando.

Il medico si fermò di fronte ad Aurelio, fissandolo negli occhi pur essendo molto più basso di lui. "Se lo ami, fa che queste non siano solo parole", Aurelio lo fissò senza capire. "Dimostragli che gli starai accanto, che lo accetterai sempre e che non gli farai mai del male". Aurelio scosse la testa, gli occhi socchiusi per nascondere la propria tristezza: "Non importa quello che provo, non è la stessa cosa per lui. Ormai sta partendo e non lo rivedrò", Taddeo si fece avanti con aria risoluta e lo afferrò per un braccio: "Non essere sciocco, davvero non capisci?". Aurelio lo fissò confuso, cosa gli sfuggiva? C'era davvero una speranza? "Perché, pensi ti abbia detto del suo passato?" chiese Agatine all'improvviso, Aurelio si voltò verso di lei, cercando di decifrare il suo volto. "Credi che vada in giro a dire a chiunque queste cose? Della droga? Della violenza di quell'uomo?". Agatine lo fissava con gli occhi fiammeggianti, Aurelio si sentì sopraffatto e colpevole. "Non capisco, davvero" sussurrò. Taddeo sospirò, scosse la testa sempre trattenendo l'altro uomo per un braccio. "Vedi, Aurelio. Non te lo dirà mai" spiegò in tono paziente e gentile. "Cosa?" chiese Aurelio, combattuto tra la speranza e la disperazione. "A nessuno darà mai quel potere su di lui" aggiunse l'uomo più maturo. "Potere?" chiese Aurelio ed Agatine annuì: "Il potere di ferirlo".

In quel momento Malic scese dalle scale, portava in mano dei fogli e qualcosa di piccolo, Agatine gli sorrise con uno sforzo visibile: "Sei pronto?". "Certo" il giovane rispose ad Agatine, ma fissava Aurelio che si sentì di colpo in imbarazzo. Senza dire nulla, Taddeo strinse in un abbraccio veloce il ragazzo e poi salì le scale.

"Ti aspetto in macchina" disse Agatine in tono tranquillo prendendo i fogli che aveva in mano il giovane e portandoli con sé, Malic annuì e Aurelio capì che quello era il momento dell'addio. Sapeva di dover fare qualcosa, ma cosa? Con passi decisi si avvicinò e rimase di fronte all'altro, che lo fissava con uno sguardo intento. "Malic" iniziò, ma si interruppe bruscamente quando il giovane gli prese una mano tra le sue chiedendo: "Faresti una cosa per me?". L'uomo non indugiò: "Certo, qualsiasi cosa". "Potresti" il tono era basso, lo sguardo serio e quasi ammiccante: "Pensare alla mia macchina?". Malic gli porse le chiavi e Aurelio le prese automaticamente, fissandolo negli occhi con un profondo respiro. L'uomo annuì e Malic continuò: "Mi raccomando, Aurelio. Manutenzione regolare e ogni tanto un bel giro per tenerla in forma, lavala spesso". Aurelio annuì: "Certo, mi prenderò molta cura della tua" fece una pausa: "Macchina", Malic gli sorrise: "E' importante, per me.". "Lo so" rispose Aurelio fissandolo intensamente, comprendendo dal modo in cui lo guardava che non stavano proprio parlando di un'auto. "E se" aggiunse Malic mentre si allontanava: "Se ci fosse qualcosa che non va, se ci fossero problemi con la macchina, intendo". Di nuovo una pausa: "Puoi chiamarmi, il numero è sul portachiavi". Aurelio batté le palpebre, incredulo e colpito. "Lo farò" sussurrò, senza nascondere le sue emozioni.

Io non esistoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora