Rimpianti

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Inesorabile giunse il mattino, frizzante corona sul capo dell'aurora dalle dita di rosa. E il ventisette febbraio venne con lui.

Le cameriere che lo prepararono avevano mani soffici, lo avvolgevano con i polsi sottili in strati di stoffa luccicante, che lo copriva a malapena. Gli acconciarono i capelli lunghi con perizia, intrecciandovi narcisi come freschissime perle, e gli impallidirono il volto con tinte e pennelli. Gli avevano persino dipinto le unghie allungate. Eren si odiava. Detestava essere acconciato in quel modo per compiacere qualche vecchio bastardo. Odiava in realtà in ogni senso essere considerato una donna.

Arrivò anche Levi, ad un certo punto, per definire gli ultimi dettagli del piano; ma in verità per rivedere ancora quegli occhi mistici che, contornati da un'affilata linea nera, ora lo rifuggivano.

«Sei incantevole.»

«Dici? Io mi trovo disgustoso.»

Levi ammutolì, mordendosi il labbro.

«Ti è tutto chiaro?»

«Sì, tieni queste.» Disse allungandogli alcune ampolle. Nel vetro si poteva ancora scorgere il riflesso del tormento di chi le aveva preparate.

«Ce l'hai fatta davvero!»

«Resto ancora un mago eccellente, principe.» Questa fece davvero male.

Erano sette anni che non varcava quella soglia, che non vedeva la porta chiudersi dall'altro lato, quello della scalinata in marmo che rappresentava insieme prigionia e libertà.


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La sala dei ricevimenti era un tripudio di rinomate vivande, eleganti vestiti ed ogni genere di falsità. Ogni ospite portava il volto celato da una maschera, persino i servitori. E, per quanto di cattivo gusto, quei becchi adunchi di corvo e le strisce da tigre avrebbero protetto l'identità anche dei loro salvatori.

Il giovane venne legato e privato dell'uso della magia, poi steso su una lettiga fece il suo ingresso sotto i cupidi sguardi degli invitati, come un'oca s'un vassoio d'argento. Presto un fitto vociare cominciò a rimbalzare di bocca in bocca, mentre quegli occhi bevevano avidi la vista delle sue membra lucide d'olio.

Entrò anche Reiss che, col viso coperto dalle spoglie di un leone impagliato e un panciotto ricamato stretto sul ventre, ricordava più un grosso rospo vermiglio.

«Signore e signori. Cari ospiti e amici. Siete benvenuti alla reggia di Trost!»

Seguì un fiacco applauso, e qualche riso di scherno.

«Lo scrigno è stato aperto! E solo per oggi mostrerò a tutti quanti voi il mio prezioso tesoro... Narcisa, la mia strega personale.»

Aveva raramente provato tanta vergogna. Eren odiava Reiss, e i suoi modi crudeli, e il fatto che lo rendesse una donna, che sminuisse la sua identità come se non avesse alcun valore. Odiava tutto quel mondo, e anche Levi, perché lo aveva ferito, e gli aveva rubato la speranza. Odiava quell'aspetto e quella vita, e odiava se stesso e la sua inettitudine, la sua debolezza. A volte si sentiva davvero la principessa di una favola che aspetta solo di essere salvata, senza fare nulla da sé. Eppure Ymir era una donna ed era mille volte più forte e caparbia di lui, lei che non aveva perduto la speranza di ritrovare la sua amata. E anche Sasha, che aveva sposato Connie nonostante non fosse concesso, che si era imposta per far valere i suoi diritti.

Tutti quelli che lo circondavano, apparentemente, erano meglio di lui, e di questo Eren ormai non si stupiva più.

Probabilmente anche Levi lo era. E allora perché lo aveva fatto? Perché?

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