Vivere

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[Il quadro in foto: dettaglio de "L'angelo caduto" di Alexandre Cabanel, Académie des Beaux-arts, Parigi]











Aprii gli occhi. Nero.

La cappa della notte m'avvolgeva.

Freddo. Arido.

Speranza, fiamma incerta, scintilla che s'estingue.

Guardai. Bramai la luce nell'oscurità assordante.

Mossi un passo, un altro, un altro ancora; avvicinandomi.

E quando fui a un soffio dalla luce, e potei lambire il suo calore, ed ero certo che l'avrei raggiunta, mi ritrovai improvvisamente metri e metri distante.

Eppure continuai a correre, ogni santa volta, disperato, mentre tentavo di avvicinarmi, e lei s'allontanava sempre più. Insistei, ordinando alle gambe esauste di proseguire la corsa suicida, non potendo accettare l'idea di perdere quella luce, perché ne avevo bisogno.

Mi inginocchiai a terra, crollando su me stesso, piangendo per la frustrazione, abbandonandomi ad un buio soffocante che m'attirava a sé.
In mente ancora il ricordo di due occhi annebbiati dal terrore... quanto dolore marchiava di rosso le sue iridi verdissime.

E non c'era colore, solo il nero più nero e buio della mia mente; la luce era scomparsa, ridotta ad un miraggio all'orizzonte.

Il principe serrò le palpebre per qualche istante, mentre gli ultimi echi dell'incubo rimbombavano nella sua mente, sapendo che non si sarebbe più dato pace; almeno finché non avrebbe visto nuovamente ardere la vita in quelle gemme purissime. Almeno, finché un vero sorriso non ne avrebbe rischiarato l'incanto.

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Sbatté la porta di colpo, con uno schianto secco, precipitandosi dentro trafelato.

«Eren...»

Fu come un déjà-vu.
Rivide il giaciglio vuoto, segnato dal solco della figura di Eren, che risaltava in mezzo alle coperte arancio.
Rivide il suo corpo accartocciato a terra, sepolto sotto i veli rossi, come un cadavere zuppo di sangue.

«Eren!»

In un battibaleno fu al suo fianco, e lo tenne stretto fra le braccia. Premette il volto sulla sua fronte, inspirando il suo profumo e continuando a chiamare il suo nome, ancora e ancora, anche quando questo aveva ormai perso di significato.

«Eren che cosa succede?»

«L-Levi?»

«Sono qui. Adesso sono qui con te.»

Quel giorno non ci fu dolore, nessun chiodo arrugginito dai rimpianti che ti trapassa la testa. Non fu quel fumo acre a svegliarlo, non fu il nudo soffitto di pietra la prima cosa che vide.

Perché, prima di tutto il resto, venne Levi. Levi che lo abbracciava, Levi che lo guardava con affetto, Levi che gli sussurrava parole gentili. Levi che aveva allargato il solco sulle coperte con la sua forma, la stessa che ora, Eren lo sentiva, stava imprimendo anche nel suo cuore.

Si affrettò però a nascondere l'emozione, lasciando il posto ad una fosca diffidenza.

«Cosa fai qui?»

Si divincolò dalle braccia dell'altro, gli occhi colmi del timore che gli attanagliava l'animo.

E se lui fosse come tutti gli altri? Non poteva permettersi di subire ancora, sentiva che un altro "sfogo" gli sarebbe costato anche l'ultimo briciolo di sanità mentale.

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