Capitolo 4

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22 Febbraio

-Al riparo!-

Il ponte della Saetta venne attraversato dai colpi della Caradonna; stavolta la bordata si fece sentire seriamente.

Finora il veloce sciabecco era sempre riuscito a incassare pochi colpi nella battaglia, ma il rientro nello scontro della nave di linea nemica aveva reso le cose assai più complicate. Dapprima la Saetta era riuscita a passarle a prua, rovesciandole addosso una bordata che doveva per forza aver causato qualche danno a quella nave, ma essa non aveva l'andatura limitata a causa delle falle o di un albero abbattuto, quindi tenerla impegnata senza subire danni si era rivelata un'impresa assai più ardua.

La bordata del vascello Esfalo aveva spezzato il supporto dei pezzi da caccia, che erano franati sul ponte distruggendo il boccaporto di prua. Almeno dieci marinai erano periti sotto quelle cannonate, e quasi altrettanti stavano soffrendo schiacciati dai pezzi d'artiglieria, ancora roventi, che erano caduti sul ponte.

La Leonessa e la Ladra di anime, dopo aver virato di prua, stavano nuovamente facendo vela per rientrare nello scontro. Il leggero brigantino-goletta si era portato avanti, ed ora stava ingaggiando uno dei brigantini nemici, mentre un altro di essi si avvicinava con ogni vela possibile alla Bellabarba, forse con l'intenzione di portarle soccorso.

L'ultimo brigantino, con la sola vela di trinchetto ancora a riva, era stato ignorato da tutti fin dalla prima fase dello scontro ed ora, con tutta calma, stava avvicinandosi a Porto Ipatzia, di sicuro con l'intenzione di mettersi al riparo dalle cannonate nemiche.

La comandante Bonfiglio, che aveva iniziato a sudare freddo, corse verso il coronamento per osservare l'andamento del resto della battaglia: la Libeccio giaceva arenata su una spiaggia e la Principessa stava baciando i fondali. Uno dei brigantini nemici stava scappando ed un altro affondando, certo, ma a parte quello non si vedevano grandi risultati.

Occorreva reagire il prima possibile: la Leonessa non era lontana, perciò lei doveva fare in modo di avvicinare la nave nemica alla sola che avrebbe potuto affrontarla. Ordinò perciò di portarsi in bolina larga, in modo tale da potersi avvalere della propria maggiore agilità per distanziarsi un po': una seconda bordata avrebbe potuto causare danni ben peggiori al povero sciabecco.

A poche centinaia di metri però, qualcun altro pensava che le cose non andassero poi tanto bene: Tancredi vedeva già la Caradonna scricchiolare da tutte le parti: i pennoni erano retti solo dalle catene, dato che le trozze erano state fatte a pezzi. La coffa di maestra non esisteva più: anche se l'albero era quasi intatto: la grossa piattaforma era stata colpita da due cannonate, che l'avevano ridotta ad una crocetta piena di schegge. Lo specchio di poppa era stato martoriato, tanto che anche le cime di trasmissione del timone erano state recise, ora i timonieri erano costretti a fare forza a mano sull'enorme barra per far cambiare direzione allo scafo, cosa che rendeva ancor più difficile trasmettere gli ordini per le manovre.

L'aver mantenuto un centinaio di soldati a bordo aveva certamente reso più efficiente il fuoco di moschetto dal cassero o dalle coffe, ma aveva anche reso più alto il numero delle vittime ottenute a bordo, che oramai doveva aver superato le centocinquanta persone. Era evidente però che lo scontro proseguiva quasi in parità, perciò era necessario fare qualcosa per portarsi in un netto vantaggio: lo sciabecco Rialtino che li bombardava stava chiaramente cercando di portarli verso la Leonessa. La cosa era sensata, ma il Capitano non ci sarebbe cascato: ordinò di mantenere la rotta, per raggiungere la Bellabarba e aiutarla a fare fuori quelle due fregate. Poi, assieme, si sarebbero occupate dell'ammiraglia, che in un due contro uno non avrebbe potuto reggere a lungo allo scontro.

LA GUERRA DELLE IPATZIEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora