Legno

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Capitava, non troppo spesso, a eventi sporadici tanto quanto il desiderio che gli richiamava, che Manuel si chinasse a braccia conserte sul suo banco, ma non per dormire né tantomeno per noia, dalle fessure quasi completamente chiuse dal tessuto del suo maglione, che era sempre lo stesso, e che da tempo aveva preso un ridicolo e asfissiante odore di nafta, Manuel osservava quasi vergognoso le sue compagne, la loro perfezione femminile che tendeva ai suoi occhi, a renderne piacevoli anche i difetti.

Permaneva in lui, confusionaria come fosse un nido di vespe a fargli da copricapo, l'incapacità di distinguere il vuoto che il suo stomaco sentiva, quando ad esempio la piccola, sfacciata, Chicca s'era permessa, nella sua irrequieta bontà, d'invitarlo al suo compleanno, lasciando che il dolcissimo bigliettino passasse dalle sue mani tanto limpide alla putrefazione di quelle di Manuel, dal brivido che percorreva il suo corpo ogni qual volta uno dei suoi compagni, spesso Giulio, lo invitava ad unirsi alle loro partite di calcetto.

Avrebbe dovuto percepirne una differenza, il mondo non faceva che ripeterlo, e adesso che era un uomo, un uomo vero, con un lavoro vero, si sentiva schiacciato dall'impossibilità di distinguere le donne dagli uomini, di inalzare le sue compagne a questa ricompensa primordiale che pareva spettargli.

"Mo che c'hai 'n lavoro te devi pure trovà 'na femmina, e poi vedi come ce resti contento" gli aveva raccomandato Rino, quando all'ennesima domanda su quel giornaletto stropicciato che teneva schiacciato sotto il coprimaterasso gli aveva spiegato delle femmine, delle vergini e delle puttane, e del loro essere irrimediabilmente utili solo ad essere riempite.

Lo stomaco di Manuel aveva vacillato, anche pieno com'era di latte e pane raffermo, era stato capace di contrarsi, piegarsi, fino a cambiare la posizione naturale nel suo ventre, come se quelle parole, più delle immagini, avessero risvegliato in lui un dormiente istinto.

Poi, mosso da quella inadeguatezza dell'indistinguibile, il petto gonfio dell'orgoglio per i suoi stessi pensieri, s'era voltato dall'altro lato, non concedendo al suo interlocutore di visionare che aspetto avesse la confusione.

"Io conosco un sacco de femmine brave in un sacco de cose, pure più dei maschi"

"Sembrano, poi cambiano quando je entri dentro, diventano stupide"

Manuel non diede peso alla sua rabbia quella notte, finiva sempre per l'arrabbiarsi per qualunque cosa, non doveva starne necessariamente a cercare una ragione distinta rispetto a quella della fatica, sentì però che il discorso del fratello non era riuscito a penetrare la sua corteccia, ne a modificare, neppure in parte, il modo in cui guardò Chicca per i giorni seguenti.

•••

"Non ce vai fuori a giocare con gli altri?" Dopo interminabili minuti di silenzio in cui percepiva lo sguardo del professore bucargli la pelle, quasi stesse cercando il modo giusto per piantare un discorso scomodo, finalmente quella voce raggiunse le sue orecchie, e per quanto non fosse piacevole, essa quanto il discorso che trascinava alle spalle, Manuel si cullò nel benessere di quel cerotto strappato.

"'Nun me va" sbuffò con indisponenza, pregando che l'altro lo trovasse tanto sgradevole da desistere con quell'intera conversazione.

"Giulio voleva tanto giocare con te, perchè non lo fai contento?"

"Me fanno male i piedi, nun me va de correre" ignorò l'avvicinarsi dell'uomo, si finse troppo impegnato a sprecare inchiostro nella fatica di cerchi concentrici disegnati su un foglio, come una sfera di metallo ed il suo pendolo, sempre più vicina, poi improvvisamente lontana, per rendersi conto del rumore scrosciante della sedia trascinata lungo quel pavimento bianco, scagliato di piccolo rombi indefiniti, prima neri, poi marroni, e adesso rigati dal metallo che contro di essi non chiedeva consensi.

Villa dei GordianiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora