Pasta al sugo e uova

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Una volta, quando era ancora un bambino, quando la sua mano non si era ancora persa nell''ossessivo disegno di sfere metalliche nell'intento scivoloso di rotolare sul pavimento fino a schiacciarlo, Manuel aveva disegnato un castello.
Aveva rubato idee dove poteva, dove doveva, c'aveva pure messo i coccodrilli tutt'attorno per difendere quella parvenza di medioevalità trasposta su un foglia già utilizzato nel lato opposto, c'aveva anche messo gli alberi, uno a destra e uno a sinistra, lo ricordava benissimo.

Avrebbe voluto prendere a schiaffi quel piccolo Manuel, in quel momento, mentre non faceva che rasserenarsi del suo essere minuscolo davanti a quel castello vero, che di alberi ne aveva dieci, forse venti, forse mille, e che c'aveva una piscina, ma senza coccodrilli, solo un cane anziano, ceco in un occhio, come gli aveva detto Simone, a difenderne la magnificenza.

All'ingresso c'era un salice, l'aveva riconosciuto perchè a scuola nel corridoio vicino ai bagni qualcuno gli anni precedenti c'aveva messo un cartellone che spiegava tutti i tipi di alberi, verde su verde, e Manuel ci passava il tempo ad osservarli, a volte sognando di poterci dormire sopra, magari appeso, come nella sua mente facevano le scimmie.

Quel salice, fu costretto a realizzare, se pur ospitasse solo una famiglia di cardellini, che di per se erano piccoli piccoli, era più grande della sua casa intera, i suoi rami più spessi della frazione di letto che gli spettava.
Fu quasi tentato di chiederlo:
Fatemi vivere la su, che non vi do nessun fastidio.
Fatemi vivere la su, che a voi tanto non vi serve, e i cardellini non li caccio mica, croce sul cuore.

Si limitò invece a seguirne il cinguettio, finchè, una volta all'interno non lo sentì sparire totalmente.

"Ti piace la pasta al sugo, Manuel?"
Non fece in tempo neppure a metabolizzarla, quella domanda, che subito la sua bocca si riempì di saliva, le mani, ancora strette a quel cubo finito solo a metà, tanto sudate da rischiare di farlo scivolare, lo stomaco tanto dolorante da annebbiare il cervello dalle sue stupide, stupide, pretese d'orgoglio, che la dignità è forte, ma la fame di più, e si sentì tanto disperato che non ruscì a far altro che non fosse annuire freneticamente.

"Si? Allora vatti a lavare, e pure tu Simo, che io intanto preparo"

"Anche le uova, papà?" La voce di Simone fu distante quanto cantilenante, ma fu abbastanza per far ridacchiare il professore, che dopo aver consegnato nelle mani di Manuel una sacca di vestiti puliti, scrollò le spalle "Anche le uova, ma solo se fate presto"

"Vieni, Manu" si sentì tirare, spingere di fretta di sopra per raggiungere il bagno che gli era stato destinato, e Manuel avrebbe voluto darci peso, avrebbe voluto pensare al fatto che i suoi piedi avrebbero toccato il pavimento freddo di una doccia, avrebbe voluto pensare al profumo che i suoi capelli avrebbero assunto, ai suoi vestiti nuovi, e più di tutto avrebbe voluto pensare a Simone, per il quale era già tanto qualcuno da meritare un nome univoco, smangiucchiato dalla quotidiana umanità, per il quale adesso era Manu, avrebbe voluto così tanto.

La sua mente però non riuscì a far altro che non perdersi in una ridondante ripetizione di pasta al sugo e uova.

•••

"È buona, Manuel?" Se ne stavano seduti tutti e tre ad una piccola tavolata rotonda sul porticato, solo quattro sedie, una vuota a suggellare una mancanza che neppure la sua ingombrante presenza era in grado di riempire, una che dal basso di una vita a cui mancava così tanto, non avrebbe mai potuto comprendere.

"Si" sbiascicò a bocca piena, trascinando la forchetta alla bocca con veemenza "C'è un poco in più?" S'azzardò allora, rosso in viso per la salsa più che per la vergogna.

Mai vide il sorriso dell'uomo che gli sedeva di fronte farsi più fiero che in quel momento, e Manuel trascorse mesi, forse anni, ad interrogarsi cosa di così buono aveva concluso quel pomeriggio.

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