1984

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"Non ce capisco 'n cazzo, mannagia a te, Simò" ci provava, e i provava per davvero, non era stupido, sapeva perfettamente che la vita gli stava sorridendo e non poteva permettersi di sputargli in faccia, ma per quanta buona volontà ci mettesse i numeri si mischiavano sul foglio, sotto la sua penna, come se l'inchiostro fosse liquido, cosciente, cancellabile, come lo era nella sua mente, dove la vocalità di quei simboli si incastrava, e non permaneva, finendo a scomparire, mischiarsi, confondersi con le voci, accatastandosi assieme alle sensazioni, lo stare seduto, il foglio. Sotto la mano, la risata di Simone, il profumo di Simone, il sorriso di Simone, che erano tanti, ma era uno, e qualunque fosse la parte matematica del suo cervello, non riusciva ad andare oltre a questa semplice accezione.

"L'hai scelto tu de venì a scuola con me, t'ho detto io che avresti dovuto scegliere il magistrale" la fascetta che teneva a scostare i capelli dal viso, quasi fosse incentivo alla sua concentrazione, venne sfilata via dalle mai di Simone, la cui risata leggera tanto quanto la brezza primaverile che li raggiungeva dal porticato, lo assalì con la stessa veemenza imposta dai capelli che gli andarono subito a ricadere sul viso.

"Ma ce sarai scemo? Uno te viene dietro e tu 'o tratti così, ma guarda un poco a questo, guarda" aveva perso il conto, Manuel, in quei quattro anni, delle volte che una risata gli si era rotta in petto, quasi sempre però, questo lo ricordava bene, seguiva il letto del fiume lasciato dal fluido scavare di quella di Simone, come preparasse l'aria attorno a se, perchè fosse più lieve nell' accogliere l'altro.

"Io te devo spiegà le cose di un anno avanti al mio e lo scemo so' io? Come funziona? Famme capì" si persero, come facevano spesso, nella parodia di una violenza ridente, volta solo al permettere che i loro corpi si toccassero, un braccio sotto quello dell'altro, una mano fra i capelli, le gambe che si intrecciavano nel tentativo di gettare l'uno o l'altro verso il pavimento, finendovi, come fosse un rituale, quasi sempre in contemporanea, atto secondo di uno spettacolo che raramente ne vedeva lì la sua conclusione.

E Simone rideva, che Manuel gli stesse schiacciando il palmo della mano contro l'addome, tirando giocosamente i capelli o bloccandone gli arti a qualsivoglia movimento, Simone rideva sempre e agiva poco, quasi fosse esattamente nel subire, che quel gioco si svolgeva per lui.

"Appena finite di fare i coglioni venite di la, per favore?" Era difficile, per quanto autoritario fosse Dante a braccia incrociate, poggiato allo stipite della porta, il fumo di una tazzina di caffè ad incorniciarne il volto, prestare attenzione a qualunque cosa non fosse il corpo di Simone sotto il suo, il sorriso impacciato, il volto paonazzo dalla fatica e l'imbarazzo d'essere stato riscoperto bambino.

"Arriviamo" s'alzarono le loro voci all'unisono, incrociandosi a metà strada, figlie dello stesso sorriso specchiato.

•••

Le parole di uomini e donne, stese come panni al sole su accatastati fogli di carta, s'ergevano attorno a loro a pareti di quello studio che a Manuel era sempre parso contenere i più nascosti segreti della natura umana.
L'evocativo odore dei raccontastorie si mischiava con la pelle martellata, innestata del sudore dei due giovani costretti, per abbondanti minuti privati alla loro irrequietezza, a sedervici, nella fastidiosa attesa che l'uomo, seduto alla scrivania davanti ai loro occhi, la finisse di sospirare come a prendere coraggio, senza mai dire davvero nulla.

"Dante?" Venne fuori più scocciato di quanto avesse pensato, un invito a prendere coraggio o a lasciarli andare, prima che anch'essi facessero polvere assieme alle colorate edizioni alla loro destra.

"T'ho preso una cosa" tirò fuori poi, abbassando la montatura sudata dei vecchi occhiali in metallo, che pareva non aver atteso altro che scivolare via da quel naso pronunciato.

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