All'origine

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I suoi passi distruggevano ad ogni tocco la natura morente che s'era fatta di quel sentiero, un tempo sintomo di devozione alla vita in tutte le sue venature, ed ora abbandonata sotto il peso del suo testimone.

Non correva più, non come aveva fatto in precedenza, troppo stanco, troppo sudato e troppo intimorito dal cadere rovinosamente, trascinare con se nella polvere anche quelle lettere, suo unico prezioso possesso, rischiando, qualora la loro stessa penna l'avesse rifiutato, di restare in silenzio col nulla.

Non vi era vento, nè grano, nè vividi cinguettii, non vi era sole, nè cielo, ad accogliere la sua disfatta.

Eppure, ad ogni suo passo ad andare, l'eco ne restituiva due a tornare, come stesse sullo stesso sentiero di chi viaggiava per il verso opposto, destinato ad incrociarlo in un unico punto, poi lasciare che tornasse via all'eterno come lui andava al nulla.

Erano più svelti dei suoi, quei passi, ma meno pesanti, capaci di non distruggere nulla sotto la loro corsa, che pur doveva esser tanto faticosa, che alle orecchie di Manuel anche tale stanchezza veniva restituita.

"Saraf! Saraf ferma!" quella voce Manuel l'avrebbe riconosciuta nelle più violente delle folle, e l'aveva cercata, nel breve corso della sua vita, in ognuna di esse. Fu facile, se pur terribile nel lancinante dolore che gli prese al petto, ritrovarla in quel silenzio.

Fu il cane a trovarlo per prima, e per Manuel fu come gettare le armi a terra, levarsi la divisa, tornare a casa, essere riconosciuto.

"Ciao bella, mi sei mancata tanto anche tu" prese ciò che poteva, si nutrì dell'affetto di chi non era capace di provare risentimento, i baci prima degli schiaffi, ma neppure per un istante smise d'ascoltare i passi dell'altro farsi più vicino, la voce incrinata dal terrore che anche l'amorevole bestiola gli fosse sfuggita dalle mani, lasciandolo solo al mondo.

"Saraf, ma che-"

"Ciao, Simo" abbandonò la terra che l'aveva accolto, ora sporco di polvere e salive, mentre l'unico a volerlo tentava di riportarlo alla sua stregua, contro il pavimento roccioso, e chi non lo voleva affatto, a testimoniare in silenzio quella risalita, le labbra schiuse, il viso scavato da tempo e solitudine.

Si distrusse.
Lo vide nei suoi occhi, e lo vide nelle increspature del suo volto, più guardava Manuel, meno lo riconosceva, e più si distruggeva.

"Simo" non vi era vento a portar via le sue parole, che arrivarono catalettiche alle orecchie dell'altro, senza tramortirlo, non riuscendo neppure ad irrompere sul suo viso, come fosse nulla più che un fastidioso ronzio, da ignorare disgustato.

"Saraf, viè qua, andiamo a casa" quasi Manuel non esistesse, non fosse lì davanti a lui a immolarsi, sporco come il giorno in cui l'aveva conosciuto, le loro mani già incrociate sui colori di quella plastica, Simone si voltò, strattonando via la bestiola come mai gli aveva visto fare prima, nell'umano errore di incanalare il dolore in violenza, contro chi l'umano errore non poteva comprenderlo.

"Simo, aspetta! Ascoltami, ti prego" si sporse per quanto possibile, aggrappandosi al tessuto stropicciato e purpureo di quella camicia, ma con più violenza di quella riservata all'animale, verso il quale c'era invece una sorta di protezione, lo spinse indietro, quasi facendolo ricadere alla terra che meritava.

"Non me devi toccà!"
Erano cinquanta passi, Manuel aveva passato metà della sua adolescenza a contarli, dalla quercia nel vialetto al salice davanti all'ingresso, erano solo cinquanta passi, ma quel giorno, fossero essi stessi stanchi, stremati dalla morte che aveva accolto ogni vivente all'interno della proprietà, parvero non voler terminare, neppure sotto la fretta di Simone.

"Ho letto le lettere, Simo, le ho lette tutte e- Simo io non lo sapevo, t'o giuro, non lo sapevo"

Si voltò di scatto, sul suo viso nulla a specchiare le lacrime dell'altro, ne il rossore causato dallo sforzo che la chiassosa liberazione dei suoi polmoni aveva richiesto.

Villa dei GordianiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora