CAPITOLO 2

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VICTORIA

Mi decisi, dopo non so quanto tempo, a rientrare in azienda. Una parte di me non sarebbe voluta tornare, ma non potevo già farmi intimorire dal primo giorno. Probabilmente, avrei subìto molte pressioni dai miei genitori e da chiunque non fosse d'accordo con le mie scelte, ma cosa potevo farci?

Spinsi la maniglia con entrambe le mani e spalcai le porte. Vidi mia madre guardarsi intorno, fino a quando non si accorse della mia presenza. Avanzò lentamente verso di me mentre teneva tra le mani alcuni fascicoli azzurri.

«Vieni, Victoria» mi invitò a seguirla «Ti mostro il tuo ufficio. Si trova al secondo piano, lato ovest.»

Con l'ascensore, raggiungemmo il piano del mio nuovo ufficio. Dopo aver girato l'angolo, mia madre mi consegnò una chiave e mi permise di infilarla nella serratura. Feci due giri e abbassai la maniglia, entrando nella stanza.

«Cosa ne pensi?» domandò, attendendo ansiosamente una mia risposta. 

Iniziai a guardarmi intorno, cogliendo tutti i piccoli dettagli che mi si figuravano davanti. Le mura erano di un beige molto chiaro e i mobili erano semplici ma moderni. Sulle mensole c'erano delle piantine grasse e mi avvicinai al computer, ancora spento, posizionato sopra la mia scrivania.

«Penso sia perfetto» risposi sincera, continuando a guardarmi intorno. 

«Sono veramente contenta ti piaccia» ricambiò il sorriso, riavvicinandosi alla porta «Accanto al tuo ufficio c'è quello di Richard e...»

«L'ufficio di Richard è la stanza affianco?» la interruppi, chiudendo per un secondo gli occhi. Cavolo, l'azienda era tanto grande ed io ero finita proprio vicino a lui. Quando dicevo di essere sfortunata, intendevo proprio questo.

«Immaginavo questa reazione da parte tua» disse «Ma erano le uniche due stanze libere e non si poteva fare diversamente.»

Niente sembrava andarmi nel verso giusto, a quanto vedevo. L'unica persona che avrei preferito vedere il meno possibile, aveva l'ufficio non solo nel mio stesso piano, ma anche accanto al mio.

«Va bene lo stesso, non preoccuparti» risposi, oramai completamente arresa che le cose potessero prendere una piega diversa e, soprattutto, positiva.

Prima che mia madre decidesse di lasciare il mio ufficio, mi venne istintivo porle una domanda che continuava a scorrermi in testa da quando avevo lasciato la sala stampa.

«Credo di sapere già la risposta ma vorrei comunque chiedertelo ugualmente» mi schioccai le dita delle mani con fare nervoso «Si è arrabbiato, vero?»

«Be', Victoria...» balbettò, cercando di trovare le parole adatte alla mia domanda.

«Fa niente, non è necessario che tu mi risponda» sollevai le spalle «Ho chiesto una cosa stupida e anche parecchio scontata, ma non mi sarebbe dispiaciuto sentire la parola no

«Dagli un po' di tempo» affermò «Sono sicura che riuscirà a perdonarti.»

E qui mi accorsi, ancora una volta, di non essere capita nemmeno da mia madre. Non dovevo essere perdonata di niente, ma speravo solamente di riuscire a recuperare un minimo di rapporto con loro.

Mio padre non era mai stato un genitore premuroso nei miei confronti ma almeno, prima di frequentare l'università, riuscivamo a mantenere una conversazione senza doverci necessariamente urlarci contro.

Nonostante tutta questa avversione nei miei confronti, ero diventata una socia dell'azienda. Ero la loro unica figlia e, senza la mia presenza all'interno della Universe Corporation, il nome dei Morgan non si sarebbe protratto nelle generazioni successive.

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