CAPITOLO 22

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VICTORIA

Tutto quello che si stava manifestando dentro di me era inspiegabile. Mille sensazioni differenti si erano scatenate dopo aver ascoltato quelle parole fuoriuscire proprio dalla sua bocca. Il petto fremeva a causa del battito irregolare del mio cuore, la mia mente si stava man mano annebbiando e i suoi occhi non smettevano di fissarmi con quell'energia capace di farmi tremare le ginocchia.

Ma sapevo che lui amava follemente prendersi gioco di me.

«Victoria, aspetta» mi chiamò, mentre percorrevo con sveltezza - volevo stargli lontana - il corridoio isolato. Mi raggiunse in pochissime falcate fermandomi contro la parete e rimanendo lontano da me. «Dove stai andando?»

Lontano, molto distante da lui.

«Sono stanca e voglio solo andare a dormire» risposi, prima di sentire qualcuno lamentarsi del pavimento bagnato alla fine dell'androne. Le nostre camere si trovavano proprio da quella parte.

Entrambi ci accorgemmo, dopo esserci avvicinati, che l'acqua stesse provenendo proprio dalla mia. Estrassi la chiave, entrammo e mi accigliai subito a chiamare la reception.

Dopo un paio di squilli, sentii la voce di una donna dall'altra parte del telefono. «Mi scusi, sono Victoria Morgan e...» mi bloccai un secondo.

«Victoria Jane Morgan» sussurrò Richard con un ghigno sulle labbra. Si allontanò da me, dirigendosi verso il bagno per cercare di capire quale fosse il reale motivo.

Non cambierà mai. «Chiamo dalla stanza 3. Purtroppo, ho trovato la camera allagata.»

«Mando subito qualcuno da lei.»

Dopo aver posato la cornetta entrai in bagno e trovai Richard, con le maniche della camicia girate fino a metà braccia, inginocchiato dinanzi alle tubature del lavandino. «L'acqua sta uscendo da un tubo allentato» si sollevò, asciugandosi le mani con la carta «Penso che stringendolo non dovrebbero esserci più problemi.»

Richard pensava male, purtroppo. Dopo l'arrivo di un uomo con indosso una tuta blu e una valigetta piena di attrezzi, mi avvisarono che la mia camera fosse inagibile e che il guasto ci avrebbe messo alcuni giorni per essere risolto perché mancava la tubatura sostitutiva.

«Nessun problema, posso cambiare camera» dissi.

Il signore si grattò il retro della nuca con disagio. «Qui sorge un secondo inconveniente. Tutte le stanze dell'hotel sono momentaneamente occupate e non sappiamo con certezza quando si libereranno.»

Questa non ci voleva proprio.

«Io e Victoria Jane Morgan siamo insieme per questioni di lavoro e non sarà assolutamente un problema condividere la mia camera con lei» spalancai gli occhi udendo quella proposta assurda.

«Veramente, grazie mille» ci sorrise mentre io dentro volevo sprofondare «Se dovesse liberarsi una camera le faremo subito sapere, signorina Morgan.»

«Sì, per favore» fu quasi una supplica.

Troppi imprevisti in poco tempo.

«So che hai detto di essere stanca ma voglio portarti in un posto» prese parola una volta usciti dalla mia oramai vecchia camera «Vieni con me.»

«Non penso sia una buona idea» non smettevo di pensare a quello che mi aveva detto prima. Quella frase continuava a risuonare ininterrottamente, provocandomi una sensazione opprimente contro il petto.

«Lo è, invece» mi spinse a seguirlo.

A Londra faceva davvero freddo. Cercai di coprirmi con il cappotto e passeggiai accanto a Richard in silenzio. Non sapevo dove fossimo diretti e non potevo di certo negare che la curiosità stava iniziando a mangiarmi viva.

«Nemmeno un indizio?» chiesi.

Girammo l'angolo della strada e rimasi esterrefatta dalla bellezza del London Eye. «Eccolo il piccolo indizio» mi sorrise «Vorresti salire?»

«Possiamo davvero?» i miei occhi si rallegrarono «Sì, certo che voglio.»

Pagammo i biglietti e ci dirigemmo verso cabina indicata dai gestori. Il giro durava all'incirca trenta minuti e il pensiero di dover stare chiusa con lui, per tutto questo tempo, mi fece un po' pentire della mia decisione. Ma tutto sommato, non potevo rifiutare un giro sul London Eye.

I riscaldamenti erano asfissianti e dovetti cacciare il cappotto per evitare di morire troppo di caldo. Richard era davanti a me e iniziava ad analizzare ogni mio movimento, rendendomi impacciata.

«Londra è proprio bella» confessò osservando la città dall'alto.

«Chissà come sarebbe vivere qui.»

«Vorresti lasciare New York?» mi chiese, spostando gli occhi su di me.

«Non saprei» ammisi con sincerità perché non avevo realmente una risposta alla sua domanda. Allontanarsi ogni tanto faceva sempre bene ma forse non sarei mai stata pronta a lasciare definitivamente New York. «E tu?»

«Sì, ogni singolo giorno penso che lasciare quella città possa darmi finalmente la possibilità di ricominciare» disse, percependo la sua voce indurirsi.

«Ricominciare a cosa?»

Mi guardò. «A vivere

*
RICHARD

New York aveva un passato che desideravo dimenticare.

Un passato che rischiava di ritornare a galla e di rovinare quelle poche cose che amavo della mia vita. Poteva provocare disastri a me e a tutte le persone a cui tenevo. Avrei fatto di tutto per evitarlo ma era una situazione davvero difficile da gestire.

Misi da parte tutti quei pensieri osservando la bellezza di Victoria. Era come una calamita e, anche in un luogo colmo di gente, i miei occhi sarebbero riusciti a trovarla prontamente. Non riuscivo a essere sincero con me stesso e ad ammettere quanto fossi effettivamente attratto da lei.

Immersi nel nostro silenzio il giro era quasi terminato. Sentivo i polmoni compressi e il cuore alla gola. Non riuscivo più a pensare e lasciai che l'irrazionalità facesse capolinea in me.

Mi posizionai accanto a lei, sebbene le sedute troppo strette non lo permettessero molto, e iniziai a guardarla mentre aggrottava dubbiosa la fronte. Mormorai il suo nome dolcemente, avvicinando il mio viso al suo. Guardai le sue labbra e lei fece lo stesso con le mie.

Questa sensazione mi provocò un capogiro. «È sbagliato» mi sfiorò la mandibola con le dita. Mi lasciai accarezzare dalla sua mano, chiudendo temporaneamente gli occhi.

I nostri respiri si mischiarono mentre sentivo la mia bocca bramare la sua. Stavo soffrendo, e anche tanto, ma non volevo per nulla al mondo affrettare troppo le cose. «Lo so, è un errore» dissi, permettendo che le nostre fronti si poggiassero.

«Ma lo stiamo per fare lo stesso» dichiarò.

Passai pacatamente il pollice sopra il suo labbro inferiore, accorgendomi di quanto morbido e caldo fosse. L'unica cosa che volevo in questo momento era far rincontrare le nostre bocche proprio come quella sera a casa sua.

Avevo cercato di dimenticare quella notte ma non ci ero riuscito.

«So anche questo» mormorai con fiato corto.

Stavo per baciarla ma il giro terminò. Aprimmo in simbiosi gli occhi e rimanemmo zitti davanti alle nostre guance arrossate. Cacciò la mano dal mio viso sofferente e mi allentai la cravatta divenuta fin troppo molesta e soffocante.

Ansimava a causa mia.

Ed io a causa sua.

Anima di GhiaccioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora