Capitolo 18

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TW:
- descrizioni violente.

Da leggere in un momento di solitudine. 

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How to Disappear Completely - Radiohead
Canzone consigliata per questo capitolo 

Diversi giorni dopo...

Sto tornando da una lunga notte di pianificazione con Alex e Fra, riguardo il prossimo lavoro. 

Dovremo rubare un altro quadro: Natività di San Francesco e San Lorenzo, di Caravaggio. Si tratta di un'opera che è passata attraverso diverse mani mafiose, facendo il giro d'Italia. Ora si trova in una villa di proprietà di uno dei rivali di Pollo, a circa quattrocento chilometri da qui. 

Non si tratterà di un'operazione facile. Dovremo fare diversi viaggi per sorvegliare l'area e comprendere le abitudini del personale, stando via qualche giorno. Sicuramente si aspetteranno di essere presi di mira, nonostante sia un'informazione segreta. La mafia conosce la mafia. 

Mi dirigo verso casa a piedi, sono le tre di notte e mi sento stanco. Di cosa, in particolare, non lo so. 

Ho superato di nuovo il concorso. Ho assistito alle proclamazioni e accettato il riconoscimento. Eva mi ha guardato intensamente quando sono tornato a sedermi, se possibile, ancora più vicino a lei. Ricordo solo il suo sorriso. Non mi ha detto nulla, sapendo che non ne volevo parlare.

Le cose sono un po' cambiate tra noi. È come se si fosse creata una sorta di complicità e io mi sento sempre più attratto da lei.

Anche Viola si è qualificata, al contrario di Giuditta. Non ho detto a nessuno del fatto che l'ho vista scopare con Gallo, e in questo momento, sinceramente, non me ne fotte un cazzo.

Ora, mi sembra tutto così insignificante. Minchiate di una vita semplice, piena di problemi inesistenti e lamentele inutili. 

Mi sento talmente distante, talmente estraniato dal mondo e dalle sue parti, come se mi fossero estranee, come se non ne facessi parte. Come se non potessi farne parte.

Il freddo degli ultimi giorni autunnali mi penetra nelle ossa, e vorrei lasciarlo libero di entrare e invadermi gli organi, fino a bruciare, fino a renderli atrofizzati, e non sentire più niente. 

Infilo la chiave nella toppa della serratura di casa mia ed entro. Trovo mio padre in salotto, seduto davanti alla televisione con una birra in mano. 

"Damiano, sei tornato?" Chiede. 

Mi tolgo la giacca e faccio per salire verso la mia stanza, ignorandolo del tutto. 

"È da un po' che non ti vedo, dove sei stato?" Continua. Lo sento alzarsi e venire verso le scale.

Mi sale già il cristo. Non è giornata. "Non sono cazzi tuoi." Provo ad andare su. 

"Aspetta, per favore." Mio padre mi ha raggiunto. 

Il riflesso di una versione di oltre vent'anni più vecchia di me, mi si presenta davanti. Mi disgusta quanto ci assomigliamo: la stessa corporatura slanciata, i tratti del volto affilati. Gli anni di abuso di droghe hanno lasciato non poche tracce su di lui. Nonostante sia ancora giovane, le spalle curve e le rughe profonde sulla sua pelle opaca, lo fanno sembrare molto più vecchio. 

"Che cazzo vuoi?"

"Sono le tre di notte... Non ti vedo mai, non so mai dove sei... Non potremmo parlare?" Mi rivolge una patetica voce supplice, che non fa che aumentare il mio nervosismo.

Mi avvicino pericolosamente a lui. "E di che cosa vorresti parlare?" 

"Vorrei solo sapere come stai..."

"Come sto?" Lo interrompo. "Sto benissimo. Vuoi vedere come sto bene?" 

Gli prendo la bottiglia della birra di mano e la spacco violentemente addosso al muro, a pochi centimetri da lui. Mio padre indietreggia, mentre io mi avvicino. Schegge di vetro mi entrano sul dorso della mano facendola sanguinare, ma tengo ancora stretto il collo della bottiglia. 

"Non voglio litigare... Vorrei solo che mi parlassi di qualcosa..." Prova ad articolare, le sopracciglia calanti, lo sguardo in giù. "Non mi avevi nemmeno detto della scuola... Ho saputo che stai partecipando a dei concorsi di scrittura..." 

Vedo rosso. 

Lancio con forza il resto della bottiglia nella sua direzione, mancandolo volutamente. Lui si scansa, fin troppo abituato a queste reazioni. 

"Ma perché fai cosi? Voglio solo parlare..." 

"Io non ho un cazzo da dirti!" Sbraito, sempre più vicino a lui. "Sei un essere inutile, io non ho niente da condividere con te." Ho tanto di quel rancore, tanto di quel veleno da sputargli addosso. 

"Vuoi parlare? E cosa vorresti dire? Che fai schifo? Che sei un padre di merda? Che sono un figlio di merda?" 

Lui continua ad arretrare. Io continuo ad avvicinarmi. Abbiamo raggiunto il salotto, a dividerci, solo un basso tavolino di legno. Lo sollevo e sbatto pesantemente per terra, frantumandone i piedi. 

"Oppure di quanto sei un fallito!" Stacco sta cazzo di tv dal mobile, dove passa davanti tutto il suo insulso tempo libero, e la alzo fin sopra alla testa, per scaraventargliela contro. Non capisco nemmeno più cosa ho in mano, prendo tutto ciò che trovo e lo lancio dovunque capita. 

Ne ho pieni i coglioni di tutto. Di lui, di questa vita miserabile priva di senso, priva di scopo. Non so che farmene delle cose che tocco, dei rumori che sento, delle persone che mi circondano e parlano, parlano, parlano e non dicono niente, non vedono niente. Che cosa ci faccio in questa vita, con questa vita?

"È colpa tua cazzo!" Mio padre si allontana da me, ma non se ne va, e questa cosa mi fa incazzare solo di più. Come se il fatto di restare dovesse significare qualcosa per me. Mi ha buttato in questa esistenza inutile, insieme a quella vigliacca di mia madre, senza un sostegno, senza aiuto, senza supporto, senza strumenti, senza attenzioni, senza affetto, senza niente. 

"Vorresti che fossi diverso? Anch'io!" Butto fuori tutto la rabbia che ho dentro, che mi consuma le interiora. 

"Mi odi per ciò che sono? Anch'io!" 

Non ho mai incontrato qualcuno capace di aiutarmi veramente, capace di dare un buon consiglio. 

Abbiamo raggiunto la cucina. Nel salotto, dietro di me, quasi tutto è stato distrutto. Mio padre non si allontana più. Ha la testa abbassata, il corpo stanco e avvilito, di una vita condotta senza pace, e costellata di rimpianti. 

"Mi dispiace... Ti chiedo scusa di averti messo al mondo..." 

Una macigno mi scende dritto sullo stomaco. La conferma che gli fa schifo avermi come figlio.

Afferro un coltello dal ripiano e mi lancio contro di lui, che resta immobile. Ficco una profonda coltellata. Ad un millimetro dalla testa di mio padre, la dispensa dietro di lui riceve il colpo.

Ci guardiamo in faccia, gli occhi vicini: i suoi carichi di rimpianto, i miei carichi di delusione.

Esco come un tuono dalla gabbia che è casa mia e corro. Nella fredda notte buia, corro disperatamente, senza avere un posto in cui andare.

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FEEL MEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora