La Corona s'inchina - Capitolo 16

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«Maestà» disse, facendo un inchino. Il re si voltò guardandola negli occhi smeraldo, leggendone l'orgoglio e il coraggio che da sempre l'avevano distinta. Elisa restò in silenzio, a testa alta, senza distogliere lo sguardo da colui che negli anni, le aveva negato il suo aiuto, che l'aveva abbandonata dopo la morte di Fabrizio. Che non aveva tenuto alto il nome del proprio padre, re Carlo Emanuele III. Gli occhi del sovrano erano illeggibili. Si avvicinò di più, continuando a fissare Elisa, fino a fermarsi a pochi centimetri da lei. «Io devo chiedervi perdono, contessa Elisa di Rivombrosa» mormorò Vittorio Amedeo III. I suoi occhi si riempirono di lacrime e fu lui, questa volta, a chinare il capo dinanzi a lei. Elisa restò attonita da tale gesto e da quelle parole che sembravano essere sincere e sentite. «Ho commesso molti errori nella mia vita con tanta arroganza e leggerezza» proseguì il sovrano, con voce rotta da quella che pareva essere una confessione. «La morte della regina ne è la prova. E voi, contessa Ristori, nonostante io vi abbia voltato le spalle, negandovi il mio aiuto e il mio appoggio per anni, avete dato nuovamente prova di grande coraggio e  fedeltà alla Corona.» Elisa accennò un amaro sorriso, commossa dal pentimento e dal riconoscimento del re. Egli le baciò le mani, mentre una lacrima gli rigò il volto duro e addolorato. Si ricompose e si schiarì la voce. «La dama di compagnia della marchesa Van Necker, spinta da un atto di onestà, è venuta a riferirmi tutto» riprese Vittorio Amedeo III «e ora grazie a voi, Elisa, abbiamo la prova che incrimina Lucrezia Van Necker definitivamente.»
«Io ho fatto solo ciò che era giusto e doveroso, Maestà» replicò Elisa.
«Anche se mi è stato concesso poco tempo, ero molto affezionata alla regina Maria Antonia di Borbone. Una donna che avevo in grande stima.» Vittorio Amedeo III annuì con il capo, mostrando per la prima volta un sorriso sincero. «Anche mia moglie vi stimava molto, contessa, me lo diceva sempre, ma io non l'ho mai ascoltata. Dopo la sua morte ho compreso molte cose» disse il sovrano. «Il mio pentimento come uomo e come Re di Sardegna, non coprirà i miei errori. Ma voglio che sappiate che da questo momento avete tutta la mia gratitudine.» I dissapori che per lungo tempo avevano tenuto lontani i Ristori dal Regno, finalmente avevano cessato di esistere. Poco dopo, Lucrezia, ignara della situazione, venne accompagnata dal fedele servitore di Corte, alla presenza di Vittorio Amedeo III. «Mi avete fatta chiamare, Sire?» Disse lei, facendo un lieve inchino. Il re annuì, mostrano un finto sorriso. «Ogni vostro desiderio è un ordine, Maestà» proseguì la Van Necker, lusinghiera. «Questa volta vi siete superata, Lucrezia.»
«Non capisco... Ho fatto forse qualcosa che vi ha arrecato offesa?» Chiese la rossa, confusa. «Assolutamente no, mia cara» rispose il sovrano, scoppiando in una fragorosa risata. «Diciamo però» proseguì, tornando serio «che assassinare la regina è stato un grave errore!» Lucrezia deglutì, turbata. «Non so di cosa stiate parlando, Sire» mormorò con affanno, sbottando in un nervoso sorriso. Vittorio Amedeo III le si avvicinò afferrandola con forza per un braccio e la fece indietreggiare. «Non sapete di cosa io stia parlando... Negare sempre e comunque anche davanti all'evidenza, vi conosco bene!» Esclamò, aggressivo. «Maledetta sgualdrina!» Urlò il re, tirandole un violento ceffone. La marchesa rovinò a terra, portandosi la mano sul volto. «Io non c'entro nulla con la morte della regina. Ve lo giuro!» replicò lei, in lacrime. «La vostra dama di compagnia ha confessato il vostro delitto, ma è grazie alla contessa Ristori che abbiamo le prove che vi incriminano, marchesa!» Nell'udire quel nome, Lucrezia sbarrò gli occhi. «Non è possibile, Elisa è morta» mormorò, sgomenta. «No, si è salvata. Prima che la feriste gravemente con un colpo di pistola, è riuscita a trovare l'ampolla di arsenico, con cui è stata assassinata Maria Antonia di Borbone» le riferì il sovrano, guardandola con disprezzo. La marchesa singhiozzò, senza avere la forza di rialzarsi. «Non sono stata io, dovete credermi, Maestà» continuò, difendendo la sua falsa innocenza. «Mi avete blandito e ingannato per lungo tempo, ma ora è finita, Lucrezia.» In quel momento Elisa entrò, seguita dal prefetto Terrazzani e le sue guardie. Le due donne si trovarono l'una dinanzi all'altra per l'ultima volta. Quella battaglia che le aveva viste protagoniste per anni, era giunta a conclusione. «Arrestatela!» Ordinò il re. I soldati accerchiarono la marchesa, e le misero le catene ai polsi. «Che tu sia maledetta, Elisa di Rivombrosa!» Urlò Lucrezia, con tutto l'odio che le serbava. Elisa restò a guardarla, in silenzio, ripensando a tutto il male che quella donna aveva fatto a lei e alle persone che amava. «Portatela via!» Urlò Vittorio Amedeo III, austero. Anna e Antonio, che avevano atteso fino a quel momento, videro arrivare la marchesa Van Necker ammanettata dalle guardie. Lucrezia chinò il capo dalla vergogna, costretta a camminare tra nobili che la guardavano con disprezzo. «Giustizia è stata fatta» disse Ceppi, commosso. «Per merito di Elisa» aggiunse Anna, mentre osservava la marchesa allontanarsi. Madame Chevalier entrò nel salone d'attesa, parandosi di fronte a Lucrezia, che alzò lo sguardo, umiliata. «Addio marchesa Van Necker, la vostra gloria è durata poco» disse Rossana, severa. Lucrezia Van Necker abbandonò per sempre Palazzo Reale, venendo scortata in carcere in attesa del processo. Re Vittorio Amedeo III uscì dalle stanze Reali insieme ad Elisa, presentandosi davanti ai suoi sudditi. Il silenzio calò nel salone, accompagnato dalla riverenza dei nobili, che si inchinarono al suo cospetto. «Oggi, è la Corona a doversi inchinare al cospetto di una donna che senza esitazione, ha rischiato la propria vita per dare giustizia al Regno di Sardegna» esclamò il sovrano a gran voce. «La contessa Elisa Ristori» proseguì, voltandosi verso di lei. Iniziò così a battere le mani, seguito da Anna, Antonio e da tutti i nobili della Corte che applaudirono all'unisono. «In oltre voi e la vostra famiglia, avrete accesso ad un posto di primo piano a Corte, e potrete disporre di tutto ciò di cui avrete bisogno» aggiunse il re, baciandole la mano. «Vi ringrazio, Maestà, per le vostre parole e per l'onore che avete concesso a noi Ristori. Ma il mio posto è a Rivombrosa, e desidero solo trascorrere una vita serena insieme ai miei figli» rispose Elisa, commossa.

Castello di Rivombrosa

Mentre fervevano i preparativi per la festa, che Elisa e Anna avevano organizzato, e la servitù impastava, lucidava, apparecchiava e riceveva ordini e rimproveri da Amelia, gli ospiti  cominciarono ad arrivare, godendosi la bellezza dei giardini del castello. Davanti alla grande fontana erano state disposte lunghe tavolate imbandite, coperte da eleganti tovaglie bianche. Su un palchetto rivestito in legno, i musicisti rallegravano l'atmosfera, allietando gli invitati. «Elisa ce l'ha fatta, come sempre» disse Martino rivolgendosi ad Antonio, con un sorriso dipinto in volto. «Finalmente potremo vivere in pace» proseguì, abbracciandolo. «Il re ha finalmente iniziato ad apprezzare i Ristori. Non sai quanto questo mi renda felice» mormorò Terrazzani alla moglie Juliet, tra il chiacchiericcio e le risate che riecheggiavano nell'aria. Quando Elisa e Anna arrivarono, Rivombrosa esplose in un applauso. Agnese corse tra le braccia della madre, che la strinse con amore. Sul viso di tutti i presenti risplendevano pura gioia e serenità.
«Sono felice, Elisa» disse Anna, baciandole le gote. Si persero in un forte abbraccio affettuoso, lacrime di gioia si mischiarono a quelle di dolore, per il passato duro e arduo che avevano dovuto affrontare. «Finalmente siamo liberi» mormorò Elisa, guardando con commozione, i volti delle persone che amava. I festeggiamenti proseguirono tra chiacchiere, risate e danze popolari. Martino ed Emilia si lanciavano sguardi e sorrisi timidi, ballando insieme agli altri ospiti. Tutta Rivombrosa risplendeva di pura letizia e spensieratezza. Al calar del sole, Elisa si allontanò dal ricevimento e si recò al grande albero dove riposava Fabrizio. Si avvicinò lentamente alla lapide e adagiò una rosa bianca sul solco della croce in pietra. «Amore... A  Rivombrosa è tornata a regnare la pace» iniziò a raccontargli «Lucrezia finalmente pagherà per le sue colpe e Re Vittorio Amedeo III ha riconosciuto ai Ristori, il merito per giustizia e fedeltà alla Corona.» Una lacrima mescolata ad un sorriso le rigò il viso.
«Ora che i nobili ci accettano e ci rispettano, Rivombrosa e tutti noi siamo finalmente al sicuro» continuò, posando un bacio sul nome in rilievo. «I nostri figli crescono, coraggiosi e forti come noi due.» La voce le morì in gola, rotta dall'emozione. Elisa restò lì, per lungo tempo, a guardare la tomba dell'uomo che aveva amato più della sua vita. I suoi pensieri si unirono ai ricordi, a tutte le battaglie che avevano affrontato insieme. Alla dipartita di Fabrizio, che aveva sacrificato la propria vita per la fedeltà al Regno di Sardegna. Ed Elisa, con la sua caparbietà e la sua nobiltà d'animo aveva reso giustizia alle loro gesta eroiche. Da quel giorno, sarebbe stata ricordata come la donna coraggiosa e indomita, che aveva mutato l'ordine delle cose, rivoluzionando l'epoca del settecento. Un pensiero corse anche a Cristiano, che nonostante tutto aveva occupato un posto nel cuore di Elisa. Un cuore che però, sarebbe sempre appartenuto all'amore e alla devozione che l'univa a Fabrizio Ristori.

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