Il mal sottile - Capitolo 18

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Piemonte, Regno di Sardegna 1784

Il fuoco del camino illuminava le mura rinnovate della biblioteca. La facciata splendente dalle nuove librerie ricolme di tomi, donavano alla stanza un'atmosfera più moderna ed elegante. Martino, divenuto un giovane uomo, si accomodò sulla poltrona di velluto bianco con un libro tra le mani.
I capelli biondi legati con cura andavano a incorniciare il viso dai lineamenti marcati e gli occhi blu cobalto. D'un tratto tra i corridoi del castello, riecheggiò la voce allegra di Agnese. I boccoli dorati raccolti in un'acconciatura semplice, le contornavano il volto dolce e delicato, le guance arrossate per la corsa. Gli occhi verde cinabro brillavano euforici nella bellezza acerba dei suoi undici anni. «Sai dov'è la mamma?» Chiese Agnese, entrando dall'ingresso della biblioteca. Il fratello alzò lo sguardo dal suo libro, addolcito dall'arrivo della sorella. «No, piccola, perché?»
«Bianca ha detto che è pronta la cena» rispose la contessina piroettando su se stessa, nell'abito color crema.
«Tu piuttosto, dove sei stata tutto il pomeriggio?» Domandò Martino, con affettuoso rimprovero. Agnese scoppiò a ridere. «Ho fatto una passeggiata a cavallo, con Angelo e Titta.»

Il mattino successivo, seduta in poltrona sotto il gazebo, Elisa osservava sorridente i suoi figli, intenti a parlottare tra loro. Il giardino, dai prati fioriti e le piante ben curate che circondavano la grande fontana, non le era mai sembrato così bello, come quel mattino di primavera. Giannina arrivò con un vassoio imbandito dalle pietanze più squisite e servì loro la colazione. «È arrivata questa lettera da Palazzo Reale» disse la cameriera, porgendo il biglietto alla contessa. Elisa lo aprì e ne lesse il contenuto. «Siamo stati invitati ad un ricevimento a corte, domani pomeriggio» disse a voce alta, versandosi del tè nella tazza. Martino sbuffò poggiando la nuca sullo schienale della poltrona, annoiato da feste e ricevimenti che lo mettevano a disagio. «Dobbiamo proprio andare?» Si lamentò. «Non sono amante di balli e ritrovi formali.» Elisa sorrise divertita, dall'imbarazzo poco velato del giovane.
Agnese posò la tazza di tè che stava sorseggiando e si voltò a guardarlo. «Oh Martino ti prego vieni con me e la mamma!» Lo implorò.
«Andrete voi, io resterò al castello. I ricevimenti mi annoiano a morte, lo sapete» replicò lui, con disappunto.
«Accompagnaci, Martino. Non vedi quanto ci tiene tua sorella?» S'intromise Elisa, con dolcezza. Il conte le guardò entrambe negli occhi poi sospirò, scoppiando in un risolino. «E va bene... A quanto ho capito, mi vedo costretto a partecipare a questo dannato ricevimento» disse con aria ironica. Agnese gli gettò le braccia al collo, dandogli un bacio sulla guancia. «Grazie, fratellone» esclamò con gioia.

Dintorni di Rivombrosa

La carrozza correva lungo la strada che portava a Torino. Elisa guardava fuori dal finestrino, ammirando lo scorrere degli alberi nella fitta radura dei boschi. «Oggi a Corte saranno presenti anche Anna ed Emilia» disse Elisa, con un sorriso dipinto in volto. Nell'udire il nome della cugina, gli occhi di Martino si illuminarono. Si schiarì la voce, nel tentativo di non far trapelare ciò che aveva nel cuore. «Bene... Sono trascorsi diversi mesi, dall'ultima volta che abbiamo visto Emilia» mormorò il conte, con voce colma di emozione. Agnese accennò un sorriso furbastro. «Mamma, secondo te Martino è innamorato? Ha gli occhi che brillano» disse la contessina, divertita.
«Non è così, e poi che ne sai tu? Sei ancora piccola per capire questa cose» replicò il conte, imbarazzato da quel
discorso. Elisa scosse il capo, sorridendo. «Non lo so angelo mio» rispose alla figlia. «Ma ricordate sempre di sposarvi per amore, un giorno, quando arriverà il momento giusto.» Le parole della madre riecheggiavano come favole nei sogni di Agnese, che guardava fuori con occhi pieni di vita e speranza per un futuro ancora da scoprire. Martino invece viveva in costante lotta tra mente e cuore, il forte sentimento che nutriva nei confronti della cugina.

Torino, Palazzo Reale

La nobiltà piemontese si era spostata nel salone delle feste, dove il ricevimento procedeva tra pettegolezzi e chiacchiere mondane. Il vociare s'interruppe non appena venne annunciata l'entrata di Sua Maestà il re, Vittorio Amedeo III, che sfilò nell'abito blu e rosso, sotto il solenne inchino dei suoi sudditi. Poco dopo, gli occhi di tutti si spostarono sulla famiglia Ristori, che fece il suo ingresso nel salone, accolta calorosamente. Grazie al coraggio e alla fedeltà dimostrata alla Corona negli anni passati, Elisa si era guadagnata la stima e il rispetto dell'aristocrazia. Agnese, al braccio della madre, si guardava intorno ammirando l'eleganza e la grazia delle nobildonne presenti. Un giovane dal portamento goffo si avvicinò a Martino. «Amico mio» esclamò, abbracciandolo. «Alessandro, anche tu qui?» Chiese Ristori, stringendosi al conte Sturani. I due giovani erano amici fin dall'infanzia, e insieme avevano frequentato l'accademia militare in Francia. «Eh già, mio padre dice che non è conveniente declinare un invito del re» rispose Alessandro, alzando gli occhi al cielo. «Tu, piuttosto? Ricordo male, oppure non ami partecipare a feste e balli di Corte?» Chiese, burlone. Martino si voltò verso Elisa e Agnese, sospirando. «Mia madre e mia sorella mi hanno trascinato qui a forza, complottando contro di me» scherzò il giovane. «Abituati, Martino, le donne sono così. Immagina quando troverai una fidanzata...»
«Chissà, magari toccherà prima a te. Anche se, sbadato come sei, staranno alla larga.» I due amici scoppiarono a ridere, circondati dagli occhi curiosi delle giovani nobildonne ancora nubili.
Lo sguardo di una di loro, si posò su Martino. I capelli castano scuro, raccolti in un'acconciatura curata e graziosa, ravvivavano con beltà gli occhi blu e le labbra rosee. La marchesina Vittoria Granieri Solaro, insieme alla sorella minore Costanza, appartenevano ad una delle famiglie più importanti e rispettabili di Torino. «Ma quello non è il conte Martino Ristori di Rivombrosa?» Chiese Vittoria, atteggiandosi nell'abito verde smeraldo. Il ventaglio servì a coprire il sorriso che le apparve in volto, non appena venne a conoscenza che i Ristori, negli ultimi anni, erano diventati amici intimi del sovrano. «Interessante» mormorò, continuando a fissare il giovane conte. Le amiche scoppiarono a ridere. «Non dirmi che ti piace quel mezzo sangue?» Esclamò una di loro, sghignazzando. «Che cosa vuoi dire?» Chiese la marchesina, con tono fermo. «Diciamo che la famiglia Ristori è gente stravagante... Si dice che il conte Martino sia figlio del suo defunto padre, Fabrizio Ristori, e di una prostituta che lavorava nella vecchia locanda, il Gatto Nero.» 
«Per non parlare della contessa Elisa,  sua madre acquisita, che prima di diventare nobile era soltanto una inutile serva» aggiunse un'altra. Costanza Granieri guardò sprezzante le amiche della sorella. «Elisa Ristori è una grande donna» disse, sovrastando i pettegolezzi «ha lottato contro tutti per coronare il suo grande amore con il conte Fabrizio Ristori, nonostante i conflitti imposti da quella che era la sua condizione.» Le giovani signore la guardarono trattenendo a stento le risate. Vittoria Granieri si scostò da loro, senza prestar più orecchie a chiacchiere di corridoio che non le interessavano. Non era stata la bellezza di Martino ad attrarla, non era l'amore a cui puntava la giovane Granieri. I suoi scopi erano di diversa natura, rivolti ad un aspetto più materiale e ambizioso. Vittorio Amedeo III, accompagnato dal suo consigliere, si avvicinò a Elisa e le baciò la mano, ammirando il suo splendore.
«Mia cara contessa, siete incantevole. Gli anni passano ma voi diventate ogni giorno più bella» disse, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi.
Elisa accennò un sorriso, chinando il capo. «Venite, desiderio presentarvi il marchese Monaldo Granieri e sua moglie, la marchesa Olga Granieri» proseguì il sovrano prendendole la mano. Il marchese era un uomo in età avanzata, noto come un inguaribile libertino. «Contessa Elisa Ristori, sono onorato di fare la vostra conoscenza» disse Monaldo, facendole un elegante baciamano. «A Corte si è parlato molto bene di voi in questi anni, non vedevo l'ora di conoscervi» aggiunse la moglie. «È un grande piacere anche per me, marchesi Granieri» rispose Elisa, sommersa da tutti quei sorrisi formali a cui non era mai riuscita ad abituarsi. «A Torino siete diventata una leggenda, cara contessa, e con merito oserei dire» proseguì il marchese, lusinghiero. «Vi ringrazio, marchese, ma non merito tanto riconoscimento» disse Elisa, visibilmente imbarazzata. «Non siate modesta, mia cara» replicò il re «il marchese Granieri ha ragione. Siete il diamante più prezioso del nostro Regno, contessa Ristori.» I sentimenti di Vittorio Amedeo III nei confronti di Elisa erano ormai evidenti e non li nascondeva. «Vogliate perdonarmi, ho bisogno di prendere una boccata d'aria» mormorò Elisa. Si allontanò così da tutta quell'attenzione che la stava soffocando. Il re seguì con lo sguardo ogni suo movimento. «Posso darvi un consiglio non richiesto, Maestà?» Si fece avanti il consigliere. «Certamente.»
«Guardatevi dalla contessa Ristori, non è come le altre donne...»
«Ne sono perfettamente consapevole!» Lo interruppe il sovrano. «Elisa Ristori è diversa da tutte le altre, l'unica donna che io abbia amato in tutta la mia vita.»
Poi si avvicinò al suo consigliere, guardandolo fisso negli occhi. «E l'unica che non avrò mai» mormorò con velato rammarico. L'arrivo di Emilia, catturò l'attenzione di Martino che si ammutolì, abbagliato dalla sua bellezza. La giovane si avvicinò al cugino, con un dolce sorriso che si fece strada nel suo volto. «Non credevo che saresti venuto anche tu insieme a Elisa e Agnese» disse, perdendosi nei suoi occhi. Martino restò incantato a guardarle le labbra. «E io non pensavo di trovarti così bella» mormorò lui. Emilia gli carezzò il volto poi si allontanò, combattuta da quei sentimenti che anche lei viveva con conflitto. Elisa uscì per riprende fiato, dalla grande balconata che dava sul parco, quando d'un tratto si sentì chiamare alle spalle. Si voltò e vide Anna venirle incontro. Si salutarono con affetto e sottobraccio s'incamminarono per una passeggiata tra i giardini della reggia. «Agnese sta diventando proprio una signorina, eh?»
«Sì, sta crescendo in fretta» rispose Elisa, scoppiando in un sorriso.
«Ma Antonio? Come mai non è venuto con voi?» Chiese subito dopo. Anna s'incupì. «Ha avuto un'urgenza e non è potuto venire. Ultimamente sempre più persone si stanno ammalando e questo lo preoccupa» spiegò la marchesa. «Capisco, speriamo non si scateni una qualche epidemia» disse Elisa. I loro discorsi vennero interrotti dall'arrivo di Agnese, che si gettò tra le braccia della madre. «Amore, hai già abbandonato tuo fratello?» Le domandò Elisa, ironica. «A dire il vero è lui che ha abbandonato me, mamma. Si è intrattenuto con Alessandro» si lamentò la contessina. «Tesoro» disse Anna, carezzandole il viso. «Non c'è nessuna ragazzina della tua età con cui puoi parlare?»
«Sì, zia, ma sono noiose e piene di sé. Non mi trovo a mio agio con loro.»
Elisa l'attirò tra le sue braccia. «Allora vorrà dire che resterai tutto il tempo insieme alla tua mamma» disse amorevole.

In convento

Ceppi era chino sul petto dell'uomo che stava visitando. «Ora alzate la veste, debbo sentire i vostri polmoni.» Non appena ne udì le condizioni si alzò con aria turbata. «Potete rivestirvi...» D'un tratto l'uomo tossì sangue. «Come temevo» mormorò Antonio, avvicinandosi a Suor Margherita, che aveva assistito alla visita. «Che cos'ha? L'ho trovato questa mattina ai piedi del convento, rannicchiato su se stesso. Non si reggeva in piedi.»
«Sembra tubercolosi» rispose Ceppi, visibilmente angosciato. «Oh mio Dio» sussurrò la monaca, facendosi il segno della croce. «La situazione non mi piace, si stanno ammalando troppe persone, ne visito tanti in queste condizioni.»
«Temi un'epidemia?» Chiese Suor Margherita. Antonio annuì. «Febbre, tosse, dolore toracico» proseguì il dottore «possono essere accomunati alla polmonite ma con l'unica differenza che la tosse da tubercolosi è accompagnata da presenza di sangue.»
La monaca accompagnò Ceppi all'uscita del convento. «Se i casi dovessero aumentare l'unico posto dove poter ricoverare gli ammalati sarebbe questo.»
«Non preoccuparti, Antonio. Certamente il convento si metterà a completa disposizione dei bisognosi.»
«Dobbiamo prepararci, se i miei timori sono fondati andremo incontro ad un periodo molto arduo. La tubercolosi è una malattia ancora poco conosciuta, alla quale non vi è ancora un rimedio efficace» spiegò Ceppi. Suor Margherita gli strinse le mani. «Che Dio abbia misericordia di noi» mormorò, con flebile voce.

Elisa La Leggenda Di RivombrosaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora