capitolo 2

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Calliope pov's:

«Sicura di farcela?»

«E siamo a cinque con questa! James, sul serio, non è la prima volta che rimango da sola a casa con un senso di debolezza.»

«Non è un semplice senso di debolezza, pensi che non abbia visto il tuo sguardo spento mentre guardavi le tue cicatrici?»

James mi rivolge lo sguardo di uno che ha paura di rovinare le cose, come se stesse camminando su un suolo fragile e sottile sul quale deve mantenere l'equilibrio mentre oscilla dall'essere sicuro di saper fare del bene al dubitare di ogni suo passo. Lui sa che io sono più che autonoma adesso, ma sa anche che io non posso stare sola con me stessa. Nessuno meglio di lui sa quanto male posso farmi se rimango da sola con la vocina dentro la mia testa che fa da burattinaio, controllando i miei pensieri e impossessandosi del mio corpo. Tra le tante cose che amo di mio fratello, il sentirsi in dovere di mettere il mio bene prima del suo mi colma quel vuoto incolmabile che mi tormenta da tutta la vita.

«Per qualsiasi cosa, chiamami.» Mi raccomanda.

«Va bene, James.» Gli poso un bacio sulla guancia e lo saluto.

Non mette in moto la macchina fino a quando non si assicura che la porta di casa non si sia chiusa e quando mi dirigo in cucina per guardarlo dalla portafinestra che si affaccia sulla strada, il motore della macchina risuona per tutto il quartiere.

Con un sospiro sfilo lo zaino dalle spalle e lo butto a terra, dopodiché mi fiondo sul divano: per oggi ne ho avute abbastanza e l'unico modo per concludere la giornata senza impazzire è quello di evitare altri guai.

Mi sporgo verso il tavolo del salotto per prendere la mia cassa portatile rosa che ho da quando sono arrivata a Distopia, circa sette anni fa. Me l'aveva regalata James al secondo giorno del trasferimento, poiché sapeva che la musica era l'unica cosa capace di colorare le mie giornate grigie. Ancora ricordo quel giorno: stavo disfacendo la mia valigia quando James mise sul mio letto quel piccolo pacchetto rosa. È stata la prima volta in cui mi sentivo davvero felice.

Connetto il mio telefono alla cassa e metto in ordine cronologico le canzoni di The Weekend. Provo a concentrarmi sulla canzone ma i miei pensieri ardono ancora, perciò fermo la musica a metà riproduzione e opto per qualche canzone più energica in modo da occupare la mente a raccogliere tutta l'energia e adrenalina possibile , quindi mi trasporto nel mondo del reggaeton e digito "Bad Bunny", successivamente scrollo tra le sue canzoni indecisa su quale ascoltare, ma dopo una lunga esitazione tra "Tití me preguntò" e "Ni bien ni mal", scelgo quest'ultima.

Non appena la faccio partire mi alzo in piedi e comincio a danzare sulle note della musica: con movimenti lenti porto le braccia in alto seguite da una giravolta su me stessa alternando i movimenti dei fianchi mentre canticchio.

"Sin ti no me va bien, tampoco me va mal, pasa lo que pasa no te voy a llamar... "

Improvvisamente, un rumore proveniente dal piano di sopra richiama la mia attenzione, così abbasso il volume della musica e sto sull'attenti.

Interdetta sul da farsi mi muovo a passi lenti e attraverso isolotto fino ad immobilizzarmi davanti le scale: mi appoggio alla parete in silenzio e con il fiato corto. Passano una manciata di minuti prima che io mi sia completamente tranquillizzata che non fosse nulla di sospettoso: è la mia debolezza fisica che gioca brutti scherzi.

Ma non appena rilasso i muscoli, un rumore più forte spezza il silenzio della casa. Serro la mascella e in preda all'ansia corro in cucina a prendere la padella che ho lasciato la sera precedente sui fornelli e ritorno davanti alle scale con passi tremanti e, dopo essermi fatta coraggio, salgo le scale un passo alla volta con delicatezza facendo il più silenzio possibile.

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